Una donna ancora giovane oziosamente distesa in una mattina di sole all’ombra di un albero. Fiori cadono stupendi su di lei che, staccati dai rami, presto si sfanno. L’enigma di questa bellezza tanto vana nella sua caducità la induce a pensare al suo stesso veloce e vano passare. Ieri, giovanissima, un giovane si era fermato davanti a lei, poi era già suo sposo, difficile quanto amato, e ora lì in quell’ora piena di sole pensa cupa che non vuole un figlio… Un secondo figlio. Un piccolo bimbo gioca vicino a lei e ora richiama la sua attenzione. Lei lo guarda ostile, lui sorride non credendole, solare… e la sua bimba fiducia gioiosa la attira commossa vicino a lui.
Tutto qui. La vita è un terribile enigma, scrive Katherine Mansfield… ma, se non forse un fiore, un bimbo in una breve ora felice apre a incontenibile grazia, annota Eva Avesani.
Paolo Bettiolo
Cari Fratelli nell’Episcopato,
Vi scrivo oggi per rivolgervi alcune parole in questo delicato momento che state vivendo come Pastori del Popolo di Dio che pellegrina negli Stati Uniti d’America.
1. Il cammino dalla schiavitù alla libertà compiuto dal Popolo d’Israele, così come narrato nel libro dell’Esodo, ci invita a guardare alla realtà del nostro tempo, così chiaramente segnata dal fenomeno della migrazione, come a un momento decisivo nella storia per riaffermare non soltanto la nostra fede in un Dio che è sempre vicino, incarnato, migrante e rifugiato, ma anche nella dignità infinita e trascendente di ogni persona umana [1].
Riprendiamo dalla pagina youtube di Gabrielli editori la registrazione della presentazione del libro di Giuseppe Goisis Con soavi cure. Un cammino nell’umano alla ricerca di senso del 31 gennaio 2025, con gli interventi di Francesco Ghia, Professore associato di Filosofia morale e Filosofia della storia all’Università di Trento e di Alberto Laggia, giornalista, già inviato speciale di "Famiglia Cristiana", Direttore de "L'Amico del Popolo" di Belluno.
Nelle pagine che Elisa Marconato ci restituisce e commenta, Anna Maria Ortese narra con dolore e ira il proprio smarrimento nei confronti di un’umanità che nella sua grandezza “milanese” patisce un penoso “ottundimento dei sensi”, un’incapacità di discernere e gradire, così che, pur tutto potendo, “non gusta più che poco o niente”. Un’umanità in sé scissa – ci dice –, che rifiutando la natura rifiuta sé stessa, e ne muore. E se non ne muore, è raggiunta dall’amara invettiva del conte/Cristo: “Impazzerei di gioia, se sapessi che essa” – quella natura che, ne è certo, non vuole essere abbandonata dall’uomo, che si strugge per il figlio che l’abbandona – non ha bisogno di noi”.
Paolo Bettiolo
Pubblichiamo il sermone della vescova episcopaliana Mariann Budde in presenza del presidente Trump, in “www.garriguesetsentiers.org” del 29 gennaio 2025 (traduzione: www.finesettimana.org).
Questo culto nazionale ci riunisce per pregare per l'unità del popolo e della nazione. Non un accordo politico, ma un'unità che rafforzi la nostra unione al di là delle nostre diversità e divisioni. Un'unità che serva al bene comune e ci permetta di vivere in libertà e insieme in un Paese libero. Questa, come ha detto Gesù, è la roccia solida su cui costruire una nazione.
di Mara Rumiz
”L’abolizione della guerra è un progetto indispensabile e urgente
se vogliamo che l’avventura umana continui”
da Una persona alla volta, Gino Strada, Feltrinelli
Difficile scrivere qualcosa su Gino Strada. Non per non sapere cosa scrivere ma perché da scrivere ci sarebbe proprio tanto. Gino era (ogni volta che scrivo era mi viene un groppo alla gola) un vulcano di cose diverse: certamente medico, anzi, chirurgo, fondatore di Emergency, ma anche pensatore e divulgatore, scrittore, attivista accanito per la giustizia, l’uguaglianza e contro la guerra. E per me era un amico, anzi, è ancora un amico. Non è semplice, dunque, condensare in un paio di pagine quello che Gino è stato, tant’è che mentre scrivo mi vengono in mente tanti episodi, tanti discorsi, tante serate passate insieme. Quasi quotidianamente gli parlo, gli chiedo consiglio, lo interrogo su cosa farebbe lui in questo mondo che si è riempito ovunque di guerre, di ingiustizie, di diseguaglianze.
Il povero, scriveva Rainer Maria Rilke in un libro amato da Etty Hillesum – è “come la pioggia di primavera, che, felice, batte sui tetti delle città”; è come “la pioggia che cade su terra scura a primavera”, quella pioggia che dona a “noi che pensiamo la felicità / come un’ascesa”, “l’emozione / quasi sconcertante / di quando cosa ch’è felice cade”. “Si deve diventare […] così semplici e senza parole come il grano che cresce o la pioggia che cade” – scrive Hillesum nelle righe che chiudono la nota di Chiara Anna Lazzarin. Come grano che diviene per tutti pane spezzato, acqua che tutti disseta – perché questo è il vivere del povero: farsi cibo e bevanda, “balsamo per molte ferite”.
Paolo Bettiolo
di Maurizio Ambrosini, in "Avvenire" del 25 gennaio 2025
Un Donald Trump definito “vulcanico” o “pirotecnico” ha dimostrato immediatamente di voler far seguire alle promesse elettorali i fatti. Nel diluvio di ordini esecutivi firmati appena dopo il suo nuovo insediamento alla Casa Bianca il capitolo immigrazione si staglia in primo piano. Trump ha imposto una rigida sterzata in senso restrittivo su entrambi i versanti delle politiche migratorie: quello degli ingressi e quello dell’integrazione sociale. In ambo i casi le sue decisioni hanno assunto profili esorbitanti. Cercano di forzare le prerogative presidenziali, inaugurando una prevedibile stagione di conflitti con giudici, governi locali, attori umanitari della società civile. Attaccando minoranze politicamente deboli, il neo-eletto presidente sembra voler affermare un principio: il leader eletto dal popolo sovrano rivendica poteri pressoché illimitati, che né la Costituzione, né le istituzioni internazionali, né le convenzioni sui diritti umani possono condizionare.
Per il mio cuore che io abbia più pietà; / che d’ora in poi io viva gentile, indulgente con il mio / triste me stesso; non vivere questa tormentata mente / con questa mente tormentata e che tormenta. // […] // […] gioia cresca // dove Dio sa, quando e fino a quanto Dio sa, il cui sorriso / non è estorto, vedi, ma, inatteso, come le montagne si screziano di cieli illumina un amabile miglio”, un breve, felice tratto di via. Spesso questi versi di G. M. Hopkins mi tornano in mente leggendo S. Weil, i suoi duri pensieri sporti su un abisso di fulgida luce nera, com’è quella di Dio.
Citano gli stoici a volte le sue righe, ma dolente un platonico delle ultime generazioni tardo-antiche leggendo le parole di Epitteto che recitano: “Non cercare che quel che accade accada come vuoi tu.
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