Se obiettivo del Sinodo è sviluppare le forme di sinodalità a tutti i livelli, il nodo è la struttura gerarchica e clericale. Quali soluzioni si prospettano?
Sì, il nodo da sciogliere per uno sviluppo della sinodalità è questo: comporre la corresponsabilità dei fedeli con l’autorità del pastore. La questione non è superficiale, perché è in gioco il sacramento dell’Ordine, dal quale il vescovo e il parroco ricevono i carismi del loro ministero, fra i quali anche quello della guida della comunità, dotata in alcuni ambiti di una responsabilità esclusiva e quindi di autorità.
di Carlo Bolpin
Le riviste della stessa area di Esodo sono in crisi. Piuttosto che chiedersi le cause, simili alla crisi delle riviste in generale, se e come continuare, credo sia più importante capire se il patrimonio di idee, di metodo critico, di tensioni culturali, sia “utilizzabile” oggi, in una situazione per molti profondi motivi di radicale svolta strutturale.
Il contesto è cambiato
Le riviste esprimevano una diffusa realtà di movimenti e di aggregazioni locali di base, che univano lavoro di ricerca ed elaborazione culturale, teologica, etica, con pratiche di impegno concreto e di proposte nel campo sociale, per i diritti civili, la pace, l’indipendenza dei popoli. In questa nuova fase, è venuta a mancare questa base che alimentava le riviste. Mentre, paradossalmente, molti degli obiettivi sono stati raggiunti, di altri c’è maggiore consapevolezza, sono assunti e rilanciati dallo stesso papa Francesco.
di Vincenzo Rosito
Bisogna indagare le metamorfosi della vita urbana per cogliere le più radicali trasformazioni del tempo presente. L’urbano non descrive esclusivamente una dimensione geografica o un ritaglio amministrativo della vita comune, ma diventa un laboratorio privilegiato per la comprensione dei cambiamenti in atto. Le crisi, le tragedie, le cesure o le accelerazioni della storia trovano nella città un preziosissimo campo di analisi. Leggere e interpretare il cambiamento muovendo dalla prospettiva dell’urbanizzazione è un esercizio di ermeneutica politica e sociale.
di Paolo Ricca
Mi è stato chiesto di parlare della risurrezione di Gesù. Lo farò in tre tappe, intitolate rispettivamente. Che cos’è la risurrezione di Gesù? Che cosa non è. Che cosa ha prodotto, cioè qual è stato il suo frutto maggiore.
1. Che cos’è la risurrezione di Gesù? È esattamente ciò che dice la parola: quel Gesù, morto e sepolto, «il terzo giorno risuscitò», cioè tornò in vita, non rimase chiuso nel sepolcro dov’era stato posto, ma «si presentò vivente con molte prove, facendosi vedere da loro (cioè dagli apostoli, ma non solo da loro, anzi in primo luogo non da loro, sembra intenzionalmente) per quaranta giorni» (Atti 1,3). Lo dice lui stesso: «Ero morto, ma ecco sono vivente per i secoli dei secoli – cioè per sempre – e tengo le chiavi della morte e del soggiorno dei morti» (Apocalisse 1,18), cioè non è più la morte ad avere potere su di me, sono io che ho potere sulla morte.
di Alberto Maggi
Padre Maggi, la sua visione della morte e dell’aldilà è profondamente influenzata dall’esperienza diretta da lei vissuta.
La mattina del 9 aprile 2012, un’ambulanza mi portava a sirene spiegate verso l’ospedale, dove sarei rimasto per quasi tre mesi, combattendo tra la vita e la morte, sottoposto a diversi pesanti interventi chirurgici. È stata un’esperienza meravigliosa che ha arricchito la mia vita, con la presenza del Signore accanto a me palpabile, che mi ha fatto sperimentare la verità dell’espressione di San Paolo: “Quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10), e che mi ha aiutato a trasformare una situazione indubbiamente negativa in positiva.
di Piero Stefani
Cosa avvenga all'essere umano quando i suoi occhi si chiudono all’esistenza terrena è domanda che non trova risposta nell’esperienza di alcun vivente. Eppure la questione si pone. Per qualcuno l'interrogativo trova nell’animo risposta certa sul versante di una vita che non avrà fine, o su quello opposto di un integrale venir meno; per altri l’aldilà resta il «grande forse» (come lo definì Rabelais). Anzi, nella mobilità che la contraddistingue, la coscienza delle persone può, in tempi successivi, passare dall’una all’altra convinzione o oscillare più volte tra dubbio e certezza.
di Angelo Reginato
Come ha sognato Gesù la comunità delle sue discepole e dei suoi discepoli? E come possiamo noi tenere vivo quel sogno? Solo rifacendosi al racconto evangelico è possibile trovare una risposta a questi interrogativi. E dunque il compito da affrontare domanda di riaprire le Scritture e dare forma ad una comunità che torni a mostrare un volto evangelico. Si tratterebbe di evidenziare i tratti fondamentali di questa figura di chiesa, mettendo in discussione gli allontanamenti e i tradimenti che ne hanno sfigurato il volto. Ma siamo proprio sicuri che sia questa l’operazione da svolgere? Che l’enunciazione del “tornare all’evangelo”, come programma di riforma ecclesiale, sia risolutivo dell’attuale crisi?
di Luigi Berzano
"L'inaudita solitudine interiore
del singolo individuo" (Max Weber, 1920)
Nella vasta letteratura sulla secolarizzazione, e su Max Weber che ne è stato il primo studioso, manca la riflessione sugli effetti spirituali che la stessa secolarizzazione ha generato da sempre. É stato lo stesso Weber a scriverne a proposito della secolarizzazione del XV secolo con la quale si formò la modernità. In quel periodo, per ragioni materiali, culturali e anche religiose, le scienze, le istituzioni e la stessa visione del mondo iniziarono a rendersi autonome dalla religione e tutto cominciò a uscire dal mondo magico medioevale e a passare dal sacrum al seculum.
di Enrico Lenzi
in “Avvenire” del 16 novembre 2023
«Spesso vi siete sentiti ai margini della vita ecclesiale. Ma senza di voi i modelli di evangelizzazione sarebbero più stantii»: lo ha detto il cardinal Zuppi incontrando i sacerdoti lavoratori. A 38 anni dallo “stop” della Cei a questa via innovativa. «Ci avete insegnato che nella Chiesa ci si può stare sia da preti sia da operai, senza congiunzioni e forzature di sorta».
Le parole del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, sorprendono e commuovono la platea di sacerdoti che hanno alle spalle – o conducono ancora – l’esperienza di prete operaio. E Zuppi aggiunge non solo il «grazie perché avete creduto in quel modello di servizio alla Chiesa e vi siete dedicati con tutto voi stessi», ma anche il riconoscimento che «spesso vi siete sentiti ai margini della vita ecclesiale. Dal centro si fa più fatica a comprendere le periferie».
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