di Giuseppe Tattara      

 “È la giustizia, non la carità, che manca nel mondo”. 
Mary Wollstonecraft,
Rivendicazione dei diritti della donna
, 1792

Il trasferimento del sovrappiù dai paesi dell’Africa Sub Sahariana è importante nello spiegare lo sviluppo industriale dell’occidente e dei grandi paesi asiatici negli ultimi anni perché i paesi africani sono produttori di risorse necessarie per la crescita economica dell’occidente sviluppato come manganese, cromite, cobalto, fosfati, idrocarburi, uranio radioattivo e di molti prodotti dell'agricoltura. Tuttavia l’ammontare e anche la direzione di tale sovrappiù sono stati nascosti dai metodi comunemente adottati di calcolo del valore del commercio estero dei paesi africani. Bisogna ristudiare il processo di estrazione del sovrappiù e demistificare l’atteggiamento di coloro che sottolineano la generosità degli aiuti forniti all’Africa Sub Sahariana dai governi occidentali e dalle istituzioni internazionali e l’incapacità dei paesi riceventi di trarne profitto.

La situazione economica dei paesi dell’Africa Sub Sahariana è sempre stata critica, segnata da grande povertà e da grandissime ricchezze, ma è peggiorata negli anni recenti per i cambiamenti climatici, per l’aumento dei prezzi di molte derrate alimentari a seguito della guerra in Ucraina, dei prezzi dell’energia, per il rafforzamento del dollaro e per la necessità dei governi di fronteggiare la pandemia Covid con un incremento della spesa sanitaria, e quindi un aumento dei consumi pubblici, e delle importazioni. Nel dicembre del 2022 il Ghana ha sospeso i pagamenti sul suo debito estero e ha domandato di poter usufruire di “provvedimenti emergenziali”, prima era stata la volta del Mali e dello Zambia.
Le conseguenze sono facilmente immaginabili e tragiche; milioni di persone, cui si uniscono milioni di rifugiati, lasciano ogni giorno i loro paesi per travolgere i muri di confine dei paesi ricchi dell'Europa e del Nord America alla disperata ricerca di lavoro e di condizioni di vita migliori.

La “remissione” del debito.  Di difficoltà in merito ai pagamenti dei debiti dei paesi in via di sviluppo si parla dalla seconda guerra mondiale. Ricordo alla fine degli anni Settanta la richiesta dei paesi dell’Africa Sub Sahariana per una ristrutturazione del pagamento del debito verso i creditori del “Club di Parigi”, seguita da altre richieste che hanno visto il graduale passaggio da interventi volti a rendere meno oneroso il servizio del debito - pagamento di interessi e quote capitale - a una visione più strutturale. Questo è stato l’oggetto del progetto HIPC (Paesi Poveri Altamente Indebitati) a metà anni Novanta e che costituisce ancor oggi la base degli interventi della Banca Mondiale e del Fondo Monetario. Tale progetto ha identificato all’inizio 38 nazioni particolarmente bisognose, di cui la maggior parte nell'Africa Sub Sahariana, e ha contemplato la ristrutturazione e la cancellazione di parte del debito, subordinando l’intervento a un programma di riforme economiche che devono essere attuate dal governo del paese beneficiario. Le critiche hanno messo in luce come tali programmi di riforma siano ultraliberisti, richiedano privatizzazioni, deregolamentazione del mercato del lavoro, liberalizzazione del commercio estero, abolizione dei sussidi pubblici. Philip Alston, relatore  indipendente alle Nazioni Unite sulla povertà e i diritti umani, ha criticato di recente, e in modo aspro, le privatizzazioni richieste dalla Banca mondiale e dal FMI, sostenendo che le privatizzazioni dei beni pubblici si accompagnano spesso all'eliminazione della protezione dei diritti umani, minor tutela della salute, emarginando ulteriormente coloro che già vivono in povertà. 
Negli anni più recenti, all’inizio della pandemia Covid, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario hanno lanciato un’iniziativa per la sospensione del servizio del debito con risultati incerti anche perché in questi ultimi anni il debito dei paesi africani nei confronti delle organizzazioni internazionali e dei governi occidentali è diminuito e nello stesso  tempo sono molto aumentate le quote nei confronti della Cina e dei creditori privati occidentali. La maggior parte dei prestiti della Cina è accompagnata da garanzie reali, come la prelazione sulla proprietà di infrastrutture o di risorse naturali e allo stesso tempo sono relativamente onerosi. I tassi di interesse sui prestiti del Fondo e della Banca Mondiale sono inferiori all’1%, salgono al 4-5% per i prestiti delle banche cinesi e vanno dal 6 fino al 10% per i prestiti accordati dai fondi speculativi europei e americani.

Cambiare paradigma. Questa narrazione centrata sul debito e gli aiuti presenta un quadro alquanto parziale del problema. Alcuni importanti istituti come il “Centro di ricerca Global Financial Integrity” che ha sede negli Stati Uniti, la “Curtis ricerca”, hanno messo in luce come alla radice del debito dei paesi africani ci sia un meccanismo di calcolo dei rapporti internazionali molto particolare. Vengono calcolati i valori relativi alle transazioni di merci e servizi e alcuni flussi finanziari mentre sarebbe necessario, per avere un quadro veritiero, tenere conto anche delle esportazioni illecite, delle fughe dei capitali, dei profitti che le imprese multinazionali realizzano nel continente africano, tutte voci che non sono facili da identificare e tuttavia si possono stimare e raggiungono cifre anche molto elevate. 
La rappresentazione fornita dalla contabilità ufficiale dice che i paesi dell’Africa Sub Sahariana hanno un passivo nei rapporti con l’estero che richiede un aumento dell’indebitamento. Ma non è così, si tratta di paesi ricchissimi di risorse naturali ma il loro valore non compare nella sua interezza perché parte di queste risorse sono esportate illegalmente (avorio, pelli e altre), oppure vengono contabilizzate a prezzi molto ridotti da parte delle imprese venditrici, che in questo modo trasferiscono i profitti dai paesi africani, dove vengono realizzati nelle miniere, nei pozzi petroliferi, in agricoltura, ai paradisi fiscali, una pratica che è nota con il nome di sottofatturazione delle esportazioni. Un'impresa sottofattura la merce venduta e si fa versare dal compratore in un conto aperto a suo nome in un paradiso fiscale la differenza di prezzo. Il fine è quello di evadere le tasse, ma molte volte questo sistema è usato per aggirare i controlli che i paesi pongono ai movimenti dei capitali e ripulire i flussi finanziari che provengono da guadagni illeciti. Lo stesso sistema della sottofatturazione è usato dalle multinazionali per spostare i profitti tra le loro filiali; le merci e i servizi scambiati all’interno della rete dell’impresa multinazionale sono prezzati a valori fittizi e in questo modo le grandi compagnie possono far comparire i profitti la dove è più conveniente. Per esempio le filiali di una multinazionale localizzate in Nigeria possono evitare le tasse locali semplicemente prezzando basse le merci trasferite a una filiale localizzata in un paradiso fiscale, ad esempio nelle isole della British Virginia; in questo modo  viene spostato denaro dove la tassazione è nulla e dove i denari, anche fossero di provenienza illecita, non possono essere tracciati. Pensiamo ai profitti delle grandi compagnie petrolifere o ai profitti che le compagnie estrattive occidentali, ad esempio Glencore, Randgold, Nuzuri Copper e tante altre ottengono ogni anno dalle miniere della Repubblica Democratica del Congo o a quelli legati all’estrazione del petrolio in Nigeria. 
Si tratta di pratiche ben note che tuttavia sfuggono alle rilevazioni ufficiali per cui i paesi dell’Africa Sub Sahariana continuano a presentare una situazione contabile di debito invece che di credito. Quali i colpevoli? 
Abbiamo detto che le fughe dei capitali sono uno dei principali indiziati e dunque partiamo da qui. Le società che fatturano il falso sono le dirette responsabili, ma dobbiamo chiederci perché è facile farlo. I funzionari delle dogane vengono corrotti facilmente o sono pochi e oberati di lavoro, e le fughe dei capitali non avverrebbero se non ci fossero i paradisi fiscali e i responsabili non sono difficili da trovare: ci sono più di 60 paradisi fiscali al mondo e sono controllati da un pugno di paesi ricchi occidentali. Paradisi fiscali sono il Lussemburgo, la Svizzera e l’Olanda e, negli Stati Uniti, stati come Delaware e Manhattan e poi le Isole Vergini britanniche, le Cayman nei Caraibi e, nella Manica, Guernsey e Jersey che fanno tutte parte del Regno Unito. 
Non sono solo le multinazionali ad agire in questo modo ma anche le lobby locali. Ricordiamo che i partiti al potere, indipendentemente dalla loro ispirazione politica, sono parte del problema del sottosviluppo dell’Africa Sub-Sahariana perché si crea in tali paesi un'oligarchia sensibile ai gruppi di pressione dei potentati economici che si impone nelle elezioni, possiede importanti aziende pubbliche, e perpetua la situazione di sfruttamento. In numerosi stati il potere è in mano ai militari che dominano con la forza. 
Sappiamo che in Africa  ci sono 165.000 cittadini africani con un grande patrimonio che ammonta nel complesso a 860 bilioni di $ (5 milioni pro-capite in media) e 2/3 di tale ricchezza è detenuta nei paradisi fiscali della Manica, della Svizzera e del Regno Unito. Ciò equivale a una sottrazione netta di risorse all'Africa perpetrata dalla sua stessa classe dirigente. Una struttura sociale così composta favorisce cospicui consumi da parte delle élite urbane e sub-urbane, dell'alta burocrazia e delle “aristocrazie del lavoro” e ciò si manifesta in un aumento delle importazioni di merci dai paesi avanzati che peggiora l’equilibrio esterno del paese. Allo stesso tempo questa struttura della domanda ostacola lo sviluppo del mercato interno e dell’agricoltura per il mercato locale e tende a specializzare il paese nella esportazione di prodotti primari.

Il legame tra debito e sviluppo è molto complesso. Cancellare il debito scalfisce solo la superficie del problema. Infatti dobbiamo essere consapevoli che l’elevato indebitamento di questi paesi ha la sua origine nell’occultamento di ricavi dovuti a transazioni illecite e nell’uscita di flussi finanziari illeciti, oppure leciti ma inappropriati perché derivano dall’opportunismo di operatori spericolati e dall’assenza di regole. In questo modo si trasformano in riceventi aiuto i “veri” donanti, e si attribuisce a coloro che elargiscono gli aiuti uno status morale che certamente non hanno. 
Se la situazione del passivo (fittizio, frutto di convenzioni contabili) nei rapporti internazionali dell’Africa Sub Sahariana permane, il debito cancellato si riforma immediatamente, e se non è pubblico è debito privato che è molto più oneroso. Cancellare il debito può dare solo un sollievo momentaneo. 
I paesi in via di sviluppo non hanno bisogno di carità ma di giustizia e di trasparenza e sono altre le azioni che si possono e si debbono intraprendere. Bisogna ripensare alla funzione dello stato nel suo ruolo di sostegno allo sviluppo economico e del benessere dei propri cittadini, e chiederci se non si debbano mettere in discussione i modi stessi con cui si sono sviluppati i paesi oggi avanzati e i mezzi con cui mantengono la loro ricchezza. E allora possiamo domandarci perché non si impediscono i paradisi fiscali attraverso una legislazione adeguata, perché non si promuove un accordo che stabilisca una tassa relativamente uniforme sui profitti delle multinazionali, in modo che queste non abbiano convenienza a trasferire i loro profitti all’estero, perché non si pone un freno alla liberalizzazione del commercio e dei movimenti dei capitali. 
E’ necessario dedicare risorse allo studio delle transazioni nascoste, alle frodi, e alle misure atte a prevenirle. Sono molte le iniziative che si possono prendere, riguardano i nostri sistemi economici e non solo quelli dei paesi più poveri, ma dobbiamo chiederci se abbiamo il coraggio di andare contro gli interessi delle istituzioni finanziarie mondiali e delle grandi società di capitali. Tuttavia dalla Chiesa e da papa Francesco ci aspettiamo dei passi in questa direzione, non un appello, che ci viene ripetuto fino alla noia ormai da molti anni, alla riduzione del debito.