di Vittorio Borraccetti

relazione all'Assemblea dell'Associazione Esodo del 13 maggio 2023

     Lo scopo di queste riflessioni è di evidenziare alcune questioni implicate dalla guerra Russia Ucraina e di indicare alcune linee di possibili approfondimenti da parte di Esodo. Non di esprimere tesi né tanto meno conclusioni.

Prima del merito, una breve considerazione sul modo della discussione in generale e tra di noi. Non va assecondata la polarizzazione delle posizioni, guerrafondai da una parte pacifisti filo putiniani dall’altra, perché se è vero che esistono posizioni estremiste o radicali su entrambi i versanti, in realtà nel confronto delle tesi opposte vi sono argomenti che meritano di essere considerati da entrambe le parti. 

Senza dimenticare che nell’opinione pubblica esiste anche una posizione di indifferenza o che sceglie in base a propri interessi contingenti (il prezzo del gas o gli affari che non si fanno più, per intenderci). Del resto, come dimostrano tante vicende, le relazioni internazionali sono condizionate fortemente dagli interessi geopolitici ed economici che prevalgono quasi sempre sui principi giuridici ed etici. 
La discussione deve essere orientata a capire e individuare possibili percorsi positivi verso la pace, piuttosto che a pronunciare giudizi oppure a rivendicare di essere nel giusto e a squalificare le opinioni divergenti.

     Qual è il fatto storico che determina la discussione? L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia iniziata il 24 febbraio 2022. Una incontestabile aggressione a uno Stato sovrano e una altrettanto incontestabile violazione del diritto internazionale. Da condannare senza riserve, perché è questa la causa prima e determinante della guerra. La discussione riguarda la reazione difensiva dell’Ucraina e il sostegno a essa data dagli Stati Uniti e dagli Stati Europei. Quali sono le tesi contrapposte? Da una parte la tesi del diritto dell’Ucraina di difendersi combattendo una guerra di difesa, di cercare sostegno da parte di altri Stati, del diritto di questi ultimi di fornire il sostegno. Dall’altra, la tesi secondo la quale l’insistenza nella guerra di difesa e soprattutto il sostegno di altri Stati favorirebbe l’aumento e l’estendersi della guerra, con aumento di distruzioni e morte e con il rischio dell’uso delle armi nucleari. A venir messa in discussione è la legittimità della guerra difensiva ucraina, in forza dell'esigenza primaria di far cessare la guerra, per i rischi accennati di estensione e aumento di gravità del conflitto. Fin qui la divaricazione è di tipo politico, ma una più generale questione si delinea sullo sfondo, quella sulla moralità della guerra difensiva, con la ricerca di criteri stringenti per giustificarla e definirne i limiti. Si sente qui l’eco della discussione sulla guerra giusta. In questa impostazione si distingue, inoltre tra la prima fase, subito dopo l’aggressione, in cui  la guerra difensiva appariva legittima e la fase successiva, in cui essendo entrati in scena Stati Uniti e Nato, la guerra sarebbe diventata guerra di posizione, in cui i belligeranti cercano di distruggersi a vicenda, con l’ulteriore conseguenza dell’aumento delle spese militari (De Monticelli su Domani 9 maggio sulle spese militari), ma soprattutto del riproporsi di una pubblica opinione di favore alla guerra. Messa in questi termini, a me sembra che la conclusione sia che, essendo la pace il bene primario fondamentale che deve prevalere su tutto e avendo la guerra assunto le dette caratteristiche, se non si ferma l’iniziale aggressore si devono fermare gli iniziali aggrediti. Comunque, aggressore e aggredito rimangono tali anche nella guerra di posizione.

     La contrapposizione riguarda anche la prospettiva geopolitica, la responsabilità ultima della guerra. Senza negare la responsabilità russa, il che è difficile, si pone l’accento critico sulla politica occidentale dopo la fine dell’Unione Sovietica, sull’espansione della Nato, (si veda per esempio quanto scrive ripetutamente Sergio Romano), sul preteso accerchiamento della Russia. Fino alla formulazione della tesi estrema per cui la Russia sarebbe stata provocata a promuovere la guerra. Questi ragionamenti, che hanno un riscontro in ciò che è effettivamente accaduto, in particolare per quanto riguarda le vicende successive all'implosione dell'Unione sovietica, presuppongono implicitamente che l'ordine internazionale debba riconoscere l'esistenza di potenze che hanno diritto a una sfera territoriale di influenza. Nel caso della Russia questa sfera non avrebbe dovuto essere insidiata dagli Stati Uniti. Così come al tempo della crisi di Cuba la sfera di influenza degli Stati Uniti nel continente americano non doveva essere insidiata dall’Unione sovietica. Il richiamo di quella crisi serve oggi per criticare Usa, Nato e Unione europea, per aver messo in crisi con la loro politica la sfera di influenza della Russia. Non voglio discutere qui tale concezione, ma osservare soltanto come l’argomento geopolitico prescinda dalle aspirazioni delle persone che vivono negli Stati o comunque le sminuisca. I soggetti sono gli Stati e i loro Governi. Le aspirazioni dei popoli, magari contraddittorie, l’esistenza di visioni diversi all’interno di essi, non contano. 
In contrapposizione si afferma che nella guerra sono in gioco le idee di democrazia e libertà dell’Occidente. E che una resa dell’Ucraina con vittoria della Russia pregiudicherebbe quei valori. 
A queste impostazioni si collega una più generale discussione sul ruolo del c.d. occidente, sulla sua pretesa di imporre al mondo la propria visione delle cose e dell’ordine internazionale, sulla sua ipocrisia nell’affermare quei valori e negarli spesso nella pratica. 
E si contesta che si possa con nettezza stabilire la virtuosità di una parte, il bene, rispetto all’altra, il male. È difficile non essere d’accordo, ma ciò non può portare a un relativismo per cui tutti i regimi alla fine si equivalgono. La distinzione tra democrazia, per quanto imperfetta, e regimi autoritari e tirannidi ha fondamento e non può sparire neppure in tempo di guerra di fronte alle esigenze della pace. Basta pensare solo al fatto che negli stati democratici si manifesta contro la guerra e che in quelli autoritari quelle manifestazioni non sono possibili e chi dissente finisce in carcere e con pene pesanti. Per quanto imperfetta e ipocrita la cultura democratica occidentale, ha comunque prodotto gli anticorpi che quelle imperfezioni e quella ipocrisia continuano a svelare.

     La guerra accompagna l'umanità da sempre così come la violenza nei conflitti. La differenza è che dal '900 la guerra è diventata totale, coinvolgendo non solo le forze militari ma anche le popolazioni, anzi la guerra si fa spesso contro la popolazione come è stato anche nell'ultimo conflitto mondiale e come fa attualmente la Russia. Dobbiamo rifiutare l’idea che la guerra sia inevitabile nelle vicende umane, ma dire no alla guerra, rifiutarla, ripudiarla non significa che non sia possibile un giudizio sulle singole guerre, perché nella storia le guerre giuste, con tutti gli orrori, ci sono state o quantomeno se non giuste almeno giustificate, come la guerra di resistenza al nazismo che è stata una guerra per la difesa della libertà e della democrazia, almeno per una parte dei belligeranti. 
È stato detto che la guerra è ricomparsa in Europa dopo 70 anni. Non è così. Non molti anni fa abbiamo vissuto la guerra seguita all’implosione e smembramento della Jugoslavia. Ma altre guerre ci sono state e continuano ad esserci. In Siria, nello Yemen, in Africa. Senza dimenticare il conflitto palestinese. L’attenzione e la discussione su queste guerre sono state e sono scarse quando non inesistenti. È abbastanza comprensibile una attenzione particolare per le guerre in cui sia parte o coinvolto l’Occidente, più specificamente gli Usa e gli Stati Europei, perché esse mettono in gioco i valori in cui crediamo o in cui diciamo di credere. Non è comunque giustificabile l’indifferenza verso le altre guerre.

     Difficile non essere a favore della pace. Ma cosa vuol dire pace? La pace deve essere ottenuta a ogni costo? Possiamo prescindere nel perseguire la pace dalle caratteristiche dell’ordine interno e internazionale e della società pacificata? 
Nella discussione indotta dall’intervento pacifista di Carlo Rovelli al concerto del Primo Maggio a Roma, su Repubblica del 3 maggio Andrea Romano ha richiamato il pensiero di Orwell, critico nei confronti di esponenti della sinistra inglese degli anni '40, disponibili al compromesso con Hitler o meglio a non opporre all’ipotizzata invasione troppa resistenza. Che mondo avremmo oggi se quella posizione avesse prevalso? Senza dimenticare che alla situazione di temuta invasione si era arrivati anche per i pregressi cedimenti avvenuti nei confronti delle pretese di Hitler. 
A questi interrogativi si potrebbe replicare invitando a considerare la diversa situazione della guerra della Russia contro l’Ucraina, caratterizzata dal rischio dell’uso dell’arma nucleare. Ma resta comunque la domanda: davvero l’assenza di libertà, la negazione dei diritti, la discriminazione tra le persone, la disumanità delle relazioni sociali sarebbero un costo sopportabile per una qualsiasi pace? Davvero non c‘è più nulla per cui sia giusto battersi si chiedeva Luigi Manconi su Repubblica di qualche settimana fa. 
In un articolo su Domani, all’indomani della ritirata americana dall’Iraq, Guido Rampoldi, scriveva: 

Ciò che preferiamo chiamare pace spesso altro non è che la maschera di guerre combattute dalle tirannidi contro minoranze: agli occhi di una ragazza afghana, di una azera, di un tagico i sei anni di ordine pace assicurati, secondo il Fatto Quotidiano, dai talebani fino all'invasione americana, furono un periodo di combattimenti feroci e di repressione brutale. In questo e in tanti altri casi pace è un artificio retorico. Sta per violenze massive che non vogliamo vedere o anche condizioni nelle quali le vittime sono costrette a sperare che la guerra le liberi dall'oppressione.

Fino a non molto tempo fa a proposito di taluni conflitti internazionali si diceva che non potesse esserci pace senza giustizia: questa affermazione non vale più? Nel caso della guerra Russia Ucraina la richiesta della pace deve essere accompagnata dall’aggettivo giusta? Una pace, cioè, che tenga realisticamente conto delle esigenze della Russia come potenza, così da garantire la sicurezza nei rapporti internazionali, ma tuteli al contempo le aspirazioni dei popoli e i diritti di libertà dei singoli cittadini anche dissenzienti?

     Il rifiuto ideale della guerra non è sufficiente a favorire un percorso verso la pace. Devono derivarne iniziativa e progetto politici che coinvolgano tutti gli Stati della terra, finalizzati alla costruzione di un ordine internazionale che prevenga i conflitti e che sia in grado di governarli, se comunque si verificano. Un ordine internazionale non solo ispirato all’equilibrio dei rapporti tra Stati ma anche al riconoscimento e alla tutela dei diritti delle persone, dei singoli, anche nei confronti dello Stato di appartenenza. Su questa strada sembrarono avviarsi gli Stati dopo la fine della Seconda guerra mondiale con la creazione dell’ONU e con la dichiarazione universale di diritti dell’uomo. In realtà i risultati di questo avvio sono stati deludenti. 
Ma rimane vero che la prevenzione e il governo dei conflitti sono possibili se alle istituzioni internazionali e sovranazionali sono riconosciuti attribuzioni e poteri superiori a quelli dei singoli Stati. Senonché proprio la concezione d istituzioni sovranazionali sembra oggi mancare di consenso, oltre a essere nei fatti rifiutata da molti Stati, e soprattutto dalle grandi potenze. D’altra parte, anche l’idea dell'universalità dei diritti umani è stata messa in crisi dalla sua pretesa riferibilità originaria alla cultura occidentale e alla contestata ipocrisia degli Stati occidentali nel praticarla. 
La debolezza delle istituzioni internazionali, a partire dall’Onu, la crisi dell’idea di sopranazionalità e di quella della universalità dei diritti umani, il carattere autocratico e autoritario di molti Stati rendono difficile la prevenzione della guerra nei conflitti internazionali e l’intervento per la sua cessazione. Ma quelle istituzioni e quelle idee rimangono fondamentali per un ordine internazionale che persegua la pace.