Il suicidio della pace. Perché l'ordine internazionale liberale ha fallito (1989-2024)   
di Alessandro Colombo
Raffaello Cortina Editore 2025

L’autore insegna Relazioni internazionali all’Università degli Studi di Milano. Nella stessa casa editrice ha pubblicato Il governo mondiale dell’emergenza, Dall’apoteosi della sicurezza all’epidemia dell’insicurezza (2022).
Per chi vuol comprendere le attuali tragiche vicende internazionali, questo è un libro da leggere.
Grande è il disorientamento, anche per la grande massa di informazioni che si rivelano spesso frutto di propaganda e di manipolazione da parte di chi pretende di avere i veri criteri di giudizio e, con approccio fondamentalista, criminalizza, se non ridicolizza, chi ha posizioni critiche e chi mette in discussione le inadeguate categorie di analisi di tipo novecentesco, se non ottocentesco.
Questi atteggiamenti si mostrano frutto della perdita di sicurezza diffusa in Occidente. L’intensità del profondo senso di questa insicurezza “non si comprende se si dimentica che, nei quindici anni precedenti, l'Occidente si era convinto di essere avviato verso un futuro opposto, incarnato nel grande progetto del Nuovo Ordine Liberale”. Illusione, che rimane tuttora, di essere ancora “grandi potenze”, vittoriose sul Male - il comunismo come l’Islam come le depressioni economiche.
Oggetto dei libri di Colombo è “il rapporto tra questa promessa liberale di sicurezza e la "frustrazione securitaria" subentrata una volta che la promessa si è rivelata irrealizzabile”.

“La guerra in Ucraina e la rimilitarizzazione dei rapporti tra le potenze hanno rimesso al centro dell'attenzione il tema della sicurezza. Ma già dall'inizio del XXI secolo preoccupazioni analoghe erano state sollevate dagli attacchi dell'11 settembre 2001 e dalla conseguente guerra globale al terrore, poi dalla tempesta economica del 2007-2009, subito dopo dall'offensiva terroristica dell'Isis e infine dalla pandemia di Covid-19”.
L’autore sottolinea la “deprimente inerzia cognitiva” delle élite politiche e intellettuali, sempre con meno memoria e consapevolezza.
Si pone, quindi, la necessità dell’analisi di processi, non sorti all’improvviso ma di lungo periodo, offerta dal libro per una comprensione non ideologica e non riduttiva della complessità, culturale, politica ed economica, costituita dalla lenta erosione dell’ordinamento giuridico moderno, dalla crisi di legittimità dello Stato democratico e dai processi di declino del “primato” dei paesi occidentali, dopo trentacinque anni dalla fine della Guerra Fredda.
Le guerre nella stessa Europa e il disordine internazionale smascherano come ipocrisia l’autoconvincimento dell’Occidente di essere garante di un ordine internazionale che porta il progresso economico, la pace perpetua e la democrazia per tutti i popoli.
Questa consapevolezza fa da schermo alla conoscenza dei processi in atto, li rimuove e conforta rispetto sia ai nuovi conflitti e all’emergere di nuove potenze, sia alle guerre e alle violazioni del diritto internazionale commesse in nome della “missione storica universale” propria della civiltà democratica che interviene per realizzare la guerra globale al terrorismo e la difesa dei valori, per “esportare la democrazia” attraverso gli “interventi umanitari”.
La narrazione della centralità occidentale ha portato a una rappresentazione delle tensioni e delle guerre diffuse nel mondo come “fatti periferici”, anzi come dimostrazione della perifericità degli “altri”: una rappresentazione dualistica tra “spazio della pace” - il “nostro”- e “spazio della guerra” - gli “altri”, tra la parte buona - noi - e la cattiva -loro.
La tentazione è di chiudersi in questa immagine dividendo la storia del Novecento in due fasi contrapposte: l’età dell’oro degli anni Novanta del secolo scorso e quella attuale , della “multicrisi” e della “guerra mondiale per pezzi”, la prima caratterizzata dall’apertura al mercato, alla democrazia e al futuro, mentre la seconda - senza rapporti con la prima - è considerata una fase “regressiva” fatta da sovranismi, nazionalismi e protezionismi. Dall’ottimismo sul futuro e sui “valori” al “risentimento”, siamo passati all’insicurezza e alla paura, alla chiusura in fortezze armate contro nemici, interni ed esterni, che vogliono “sostituirci”.

L’autore, con analisi puntuali e precise periodizzazioni, smonta le “interpretazioni di comodo” che attribuiscono la crisi dell’ordine internazionale e degli stessi ordini dei paesi liberali sempre a cause esterne quali la “rivolta contro l’Occidente” di popoli ingrati, le patologie culturali, politiche e pure psicologiche di singoli personaggi (in primo luogo Putin e Trump), i complotti di nemici interni guidati da macchinazioni russe o cinesi oppure per ingenuo idealismo. Per ognuna di queste “interpretazioni” penso a singoli opinionisti (autodefiniti intellettuali) e a testate giornalistiche e a canali televisivi. In particolare, penso alle “analisi” sulla debolezza, perdita di virilità dei “pacifinti”, in realtà “putiniani”.
Conclusione del libro è che “l’ordine internazionale liberale non è, come si continua a dire, sotto assedio, ancora nel pieno del suo splendore e della sua legittimità. Al contrario, se l’ordine internazionale ha potuto trovarsi in questa situazione è perché si era già disgregato da sé, nonostante le condizioni di superiorità senza precedenti dalla quale era partito”.
Se si vuole evitare la catastrofe è necessario riconoscere che l’alternativa non è “o la perfezione dell’ordine liberale o il diluvio”, o il ritorno ai vecchi valori e ai vecchi rapporti di potere o il caos.
La sfida è, invece, di costruire un nuovo ordine internazionale. Credo che l’approccio individuato sia quanto di meglio ha costruito la civiltà europea, tornando all’essenza della sua tradizione, che considera l’interdipendenza delle diverse civiltà e l’apertura all’interrelazione e al riconoscimento della identità e della parzialità di ciascuna, a partire dalla propria. 
Ovviamente non era obiettivo dell’autore sviluppare le politiche per questo nuovo ordine internazionale, che, però, non può essere elaborato e praticato senza la presa di consapevolezza di questa sfida, nella sua radicalità, frutto dei processi storici reali che esigono nuove categorie di lettura - non ideologiche - e nuove culture politiche.
Questa "sfida" comporta un enorme salto culturale - ed etico - radicalmente opposto all'attuale approccio, come descritto prima. Di questo impegno tutti e tutte, nei diversi ambiti, siamo responsabili.

Si vedono segnali di questo salto assolutamente necessario?  Senza cedere a un rassegnato pessimismo penso occorra analizzare questi segnali da cui partire.
La speranza è che non accada di capire solo dopo la catastrofe, come successo dopo le macerie della seconda guerra mondiale in Europa, che però perse ben presto la memoria e la coscienza di sé. 

di Carlo Bolpin

Il suicidio della pace. Perché l'ordine internazionale liberale ha fallito (1989-2024)
di Alessandro Colombo
Raffaello Cortina Editore 2025, pp. 352, euro 25,00