di Maurizio Ambrosini  

Le ONG straniere che soccorrevano in mare i migranti e li depositavano nei porti italiani erano il bersaglio perfetto. La narrazione sovranista di un paese sotto invasione a opera di oscure lobby globaliste aveva costruito un nemico ideale da combattere. Il fantasma della sostituzione etnica aveva trovato dei colpevoli. Apparati di sicurezza, servizi segreti all’italiana e alcune procure si prestavano a collaborare, costruendo prove, accreditando testimoni improbabili, attivando procedure severissime di contrasto. Da stato d’assedio. Poco importava che assieme alla tedesca Juventa venissero coinvolte anche Medici senza frontiere, premio Nobel, e Save the Children.

La pervicacia di questa narrazione è ribadita dal fatto che più o meno negli stessi giorni, a ridosso della sentenza del GUP di Trapani, un alto esponente del governo ha annunciato la presentazione di un libro in cui, afferma, ha documentato il fiume di denaro a sostegno delle ONG impegnate in mare. Se anche fosse vero, verrebbe da dire: soldi ben spesi.
Certamente più dei tre milioni investiti nell’inchiesta giudiziaria così clamorosamente naufragata. Non deve sfuggire peraltro lo spostamento dell’attenzione: dalle persone salvate ai flussi di finanziamento. La disumanizzazione del (presunto) nemico è un propellente retorico di ogni guerra: come nella definizione di “arma ibrida” inflitta ai malcapitati profughi in cerca di scampo tra il confine bielorusso e quello polacco.

Il proscioglimento, clamoroso perché avvenuto ancora prima del dibattimento, ma tardivo, perché arrivato dopo sette anni di persecuzione giudiziaria, non si riferisce tuttavia a un abbaglio isolato. A giugno 2023, secondo l’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Ue erano almeno 63 i procedimenti legali o amministrativi avviati da Stati europei contro ONG impegnate in mare (Redattore sociale). Dal canto loro, nell’ultimo anno le autorità italiane hanno emesso 21 fermi amministrativi contro le navi umanitarie, bloccando le loro attività di soccorso per 460 giorni consecutivi. Viene da domandarsi quante vite si sarebbero potute salvare senza queste improvvide misure.

Altre assoluzioni hanno visto uscire vittoriosi dalle aule di giustizia, per citare solo alcuni casi, gli attivisti di Baobab a Roma, i volontari di Linea d’Ombra a Trieste, il religioso di origine eritrea padre Mussie Zerai Yosief. Nonostante i ripetuti fallimenti, la macchina della criminalizzazione della solidarietà non si arresta, prigioniera, si direbbe, di una sorta di coazione a ripetere. Qui sta il punto: le migrazioni internazionali sono diventate una questione chiave dell’agenda politica e soprattutto un argomento di punta della propaganda nazional-populista. Anzi, come mostra il nuovo Patto UE, la. retorica antiumanitaria della difesa dei confini ha infiltrato anche la politica mainstream. La reazione contro la globalizzazione neoliberista comporta una nuova domanda di confini nazionali rigidamente presidiati. Ma poiché fermare merci, flussi finanziari, spostamenti di attività produttive, è assai più complicato, gli attori politici rispondono a questa domanda cercando di arginare i movimenti di esseri umani poveri e indifesi.

La polemica si è inasprita sempre più e investe ormai anche chi soccorre le persone in cerca di scampo. Anch’essi vengono iscritti nel registro dei nemici della nazione, prima di finire eventualmente nel registro degli indagati. Accuse come quella di vice-scafisti esprimono in modo esemplare questo approccio, esito di una polarizzazione ideologica che divide il mondo in campi opposti. Chi aiuta e salva è etichettato complice dei trafficanti e dei trasgressori dei confini. Basti pensare alla polemica scomposta contro la Conferenza episcopale italiana, a motivo degli aiuti forniti da qualche vescovo a Mediterranea Saving Humans.

È legittimo sostenere posizioni diverse sulle politiche migratorie, ma almeno un principio dovrebbe essere salvaguardato: come nelle guerre e nelle emergenze umanitarie, chi soccorre va rispettato e lasciato libero d’intervenire.