Volentieri pubblichiamo il contributo di Vittorio Borraccetti con alcune questioni suscitate dalla lettura dell'articolo di Giannino Piana Ucraina: guerra giusta e legittima difesa? A seguire la risposta dell'autore.

Non sono del tutto d’accordo con Piana, perché temo che dal suo ragionamento si ricavi un dovere di arrendersi da parte dell’aggredito.

  1. Si dice che ogni tipo di guerra è illegittimo anche la guerra difensiva. Tuttavia, dice Piana, di fronte all’aggressione non si esclude l’adozione di interventi, contenuti nel tempo, come le operazioni di polizia internazionale messi in atto da organismi super partes, dove l’uso delle armi è destinato a contenere violenze e genocidi e, se possibile, ad arrestare il processo bellico, creando le premesse per avviare trattative diplomatiche con l’obiettivo di ripristinare la pace. Osservo: se la polizia internazionale non esiste, se l’intervento di una forza come i caschi blu dell’Onu teoricamente possibile, è condizionato dall’assenso dello Stato aggressore, come nel caso specifico (la Russia componente permanente del Consiglio di sicurezza ha il potere di veto su un’eventuale risoluzione), cosa deve fare lo Stato aggredito, arrendersi ?
  2. In tema di legittima difesa, essendo il piano della discussione quello della politica e del diritto trovo non pertinente il richiamo al Vangelo. La legittima difesa non solo è un diritto ma è eticamente lecita. Essa chiama in causa non solo la difesa di se stessi, ma anche la difesa della propria famiglia, dei propri cari, dei propri amici. A mio avviso nel caso in cui l’offesa sia portata a una persona in condizione di debolezza o vulnerabilità, intervenire a sua difesa è un dovere, ovviamente nei limiti delle proprie forze e possibilità concrete.
    Nel caso dell’occupazione della propria terra da parte di una potenza straniera, secondo Piana, stante il ripudio di ogni forma di guerra, le vie da percorrere non possono essere che […] gli interventi […] di polizia internazionale, e l’adozione delle tecniche di difesa non violenta.
    Ma, osservo, la polizia internazionale, come si è già detto, non esiste e quanto alla difesa non violenta è tutta da progettare e costruire. Nel frattempo, ripeto la domanda, cosa devono fare lo Stato aggredito e la sua popolazione, arrendersi?
  3. Non condivido l’opinione secondo la quale il sostegno al paese aggredito anche mediante l’invio di armi sarebbe in contrasto con l’art. 11 della Costituzione sul ripudio della guerra. Come molti hanno osservato nella Costituzione vi è anche l’art. 52 sul dovere di difesa della patria dalle aggressioni (dovere definito sacro) e questo vuol dire che la guerra difensiva non è in via di principio illegittima. Sulla base di quest’articolo si possono considerare legittimi aiuti, anche militari, ad altri paesi aggrediti quando in prospettiva quell’aggressione costituisce pericolo anche per il nostro paese. Questo in via di principio. È diverso chiedersi sul piano politico se una tale operazione sia opportuna o meno e se aiuti o meno la spinta ai negoziati.
    Non mi pare condivisibile tacciare d’ipocrisia il sostegno anche con aiuti militari all’Ucraina. Non ipocrita sarebbe intervenire in guerra? No, l’alternativa non è così brutale, tra rimanere neutrali (il che significa nel caso concreto stare dalla parte dell’aggressore), o entrare in guerra. Il sostegno anche militare va dato con misura, aiutando la capacità difensiva ma evitando di favorire l’allargamento del conflitto.
    Quanto al fatto che mentre si condanna l’invasione si continua contemporaneamente a importare il gas russo e a pagarlo, è vero è una contraddizione, conseguenza di scelte energetiche sbagliate negli anni passati, ma da essa non deriva una valutazione diversa dell’aggressione e della difesa necessaria.
  4. Sono del tutto d’accordo, e non potrebbe essere diversamente, sugli auspici di Piana per il futuro, per evitare che si riproducono situazioni di guerra. Bando della guerra, controllo delle armi, buone relazioni internazionali.
    Ma che a questo proposito devo osservare come un tale progetto richieda il consenso di tutti i soggetti. Di tutti gli Stati, in un mondo oggi fortemente interconnesso. Ma non mi pare che si possa essere ottimisti. Molti Stati, forse il maggior numero, sono retti da autocrazie, se non da dittature, e si dichiarano per bocca dei loro capi illiberali. In quegli Stati la discussione pubblica non esiste o è fortemente limitata. E senza discussione pubblica quei progetti non possono fare strada. E anche negli Stati dove una discussione pubblica esiste, sono forti spinte identitarie e talvolta nazionaliste.
    Ovviamente si deve comunque battersi per quei progetti. Affinché in futuro nessuno aggredisca e faccia guerra a nessuno.
    Ma nel frattempo, chi viene aggredito cosa deve fare? Deve arrendersi?

 

Risponde Giannino Piana

Gentile Dottor Vittorio Borraccetti,
la ringrazio per le osservazioni critiche con cui ha commentato con grande correttezza (anche di stile) la mia intervista. Non intendo replicare al suo scritto, perché rischierei di ripetermi. Mi limito a fare due rapide considerazioni sul suo intervento.

  • Il “no” a ogni genere di guerra (difensiva inclusa) non esprime una mia personale opinione, ma la posizione della Chiesa (tale era peraltro la domanda) che, a partire dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII per giungere fino a papa Francesco, ha sempre espresso con radicalità tale giudizio. Gli accorati (ripetuti) interventi di quest’ultimo, che non si è limitato a condannare senza esitazione la guerra in corso, ma anche l’offerta da parte degli Usa e dell’Europa delle armi al popolo ucraino, definendo uno “scandalo” l’aumento delle spese militari nel bilancio degli Stati, non fanno che confermare la linea di condotta del magistero a tale riguardo. Il ricorso a operazioni di polizia internazionale (purtroppo a oggi, come lei giustamente osserva, impraticabile) è un’ipotesi nata a seguito dell’intransigenza di tale posizione della Chiesa per affrontare situazioni drammatiche (genocidi, violenze su donne e bambini, ecc.).
  • Quanto alla valutazione del “che fare” in una situazione come quella della guerra in corso, ho sempre cercato di distinguere, nell’affrontare tale ordine di questioni (pur senza opporli, anzi istituendo tra essi una costante correlazione) il piano profetico, sul quale condivido la posizione del magistero, da quello politico, ricevendo in proposito frequenti rimbrotti dai pacifisti a oltranza, di cui non faccio dunque parte. Se ci si colloca su quest’ultimo piano – quello politico appunto – in gioco vi è, nel caso della guerra attuale (perché di vera e propria guerra si tratta), un conflitto di valori (e di doveri), il diritto all’indipendenza di una nazione aggredita e le vite umane, in particolare di civili, da tutelare. Il criterio di giudizio è per me, in questi casi, quello del “male minore” o della “riduzione del danno”. In questa logica personalmente propendo, nel caso specifico, per il “no” all’offerta delle armi, dando la precedenza alla salvaguardia della vita delle persone. La mia è tuttavia un’opinione e non una posizione apodittica, per cui ritengo legittima e seriamente motivata anche l’opinione opposta. Il giudizio va dato certo laicamente e in modo autonomo da chi è direttamente coinvolto, ma non condivido che nell’esprimere tale valutazione non debba contare per chi è credente il riferimento a una visione del mondo ispirata ai valori evangelici (non esiste un giudizio assolutamente oggettivo e neutrale, ma ciascuno chiama inevitabilmente in causa, almeno implicitamente, nel formulare il giudizio, la propria visione del mondo), s’incorrerebbe altrimenti in una concezione della religione come fatto puramente privato (o di coscienza), il quale non può (e non deve) contare quando si tratta di scelte pubbliche. Il che non mi pare in sintonia con il dettato evangelico.