di Mara Rumiz

Non mi è facile scrivere, e parlare, di Gino. È ancora troppo forte il dolore per la sua scomparsa e il dolore per me è doppio: ho perso contemporaneamente un grande uomo, che della cura alle vittime della guerra e della povertà aveva/ha fatto la sua ragione di vita, e l’amico con cui passare tante serate, con cui discutere, non solo di Emergency, su cui confidare.
Gino si era inventato Emergency nel 1994, intorno al tavolo della cucina, con la moglie Teresa, scomparsa prematuramente più di 10 anni fa, e alcuni amici, convinto che ci fosse la necessità di esserci laddove il bisogno di cure era più forte: non a caso il Rwanda fu il primo progetto dell’Associazione.

Non voglio fare qui la biografia di Gino Strada: altri lo hanno fatto e lo stanno facendo.
Io vorrei, invece, soffermarmi su alcuni principi che sono alla base dei programmi e del senso stesso di Emergency.

Innanzitutto quelli enunciati dallo Statuto: l’uguaglianza (ogni persona ha diritto di essere curata a prescindere dalla condizione economica e sociale, dal sesso, dall’etnia, dalla lingua, dalla religione, dalle opinioni); la qualità (sistemi sanitari di qualità devono essere basati sui bisogni di tutti ed essere adeguati ai progressi della scienza medica. Non possono essere orientati, strutturati o determinati dai gruppi di potere né dalle aziende coinvolte nell’industria della salute); la responsabilità sociale (i governi devono considerare prioritari la salute e il benessere dei propri cittadini, e destinare a questo fine le risorse umane ed economiche necessarie. I servizi forniti dai sistemi sanitari nazionali e i progetti umanitari in campo sanitario devono essere gratuiti e accessibili a tutti).

Gino, cardiochirurgo che negli anni ha operato migliaia di persone, aveva una visione a tutto tondo della salute: non solo farmaci, non solo interventi chirurgici, non solo riabilitazione e fisioterapie ma attenzione al contesto in cui il paziente è inserito, un ambiente piacevole e igienicamente perfetto. Gli ospedali di Emergency sono belli, circondati da giardini rigogliosi con alberi e fiori (anche nelle zone desertiche), guest house per ospitare i parenti, una cappella in cui i fedeli di ogni religione possano raccogliersi in preghiera, fonti energetiche alternative e soluzioni ecologiche per lo smaltimento dei rifiuti.

Il mandato che Gino Strada assegnava ai progettisti era: “Voglio un ospedale scandalosamente bello”. Non si trattava/non si tratta semplicemente di una ricerca estetica ma della convinzione che la bellezza fosse /sia un elemento fondamentale della cura.
Gino andava oltre l’impegno nella cura delle vittime della guerra e della povertà, Gina voleva andare all’origine della causa di ferite e di morti: la guerra. L’abolizione della guerra era un suo obiettivo prioritario. Un mondo senza guerra sembra un’utopia ma Gino sosteneva che “come le malattie anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino ineluttabile”. Il prezzo della guerra viene pagato al 90% dai civili, soprattutto donne e bambini e la guerra, cancellando il diritto di vivere, nega tutti gli altri diritti.
Gino Strada non era persona facile: ruvido nei modi, diretto, senza peli sulla lingua, non faceva concessioni a nessuno ma era capace di interloquire con tutti pur di salvare vite.  Potevi non essere in accordo con le sue posizioni ma i progetti che ha realizzato danno la misura della sua grandezza.

Emergency oggi è presente in 8 Paesi (Italia, Sierra Leone, Sudan, Iraq, Afghanistan, Yemen, Eritrea, Uganda); ha curato oltre 11 milioni di persone; nei progetti all’estero lavorano quasi 3.000 persone locali, che vengono appositamente formate.
Il lavoro continuerà e si svilupperà ulteriormente: l’Associazione ha al suo interno le competenze e le intelligenze per farlo, anche se, senza l’autorevolezza, la capacità di visione, la genialità di Gino, sarà più difficile. Dovremo moltiplicare l’impegno e l’energia ma ce la faremo. Ce la faremo fino a raggiungere l’obiettivo finale: diventare inutili. Significherebbe che finalmente ci sarebbe un mondo senza guerre e senza povertà.