di Piero Stefani     

Anche all’epoca di Gesù e delle prime comunità, l’ebraismo era plurale. La polemica di Gesù e di Paolo era rivolta ad alcuni filoni e quali? E invece la loro appartenenza e i loro legami con quali altri gruppi erano? E viceversa quali gruppi di ebrei li riconoscevano come appartenenti all’ebraismo? E quali invece erano ostili?

Comincio dalle ultime due domande per cercare di approdare a una prospettiva utile per chiarire anche altre questioni. Il problema in esse non sembra ben posto; vi si introduce, infatti, un’alternativa mentre è solo la sua mancanza a rendere comprensibile il panorama: si era ostili alle comunità dei credenti in Gesù Cristo proprio perché le si riteneva parte del popolo ebraico.

Nel I secolo le autorità giudaiche, di qualunque genere fossero, non erano nelle condizioni di intervenire direttamente su gruppi di persone non ebree, specie nel caso in cui queste ultime fossero cittadini romani. Anzi, secondo gli Atti degli Apostoli (22-26), la faccenda era complessa persino quando l’ebreo verso il quale si era ostili (nella fattispecie Paolo), fosse cittadino romano. L’idea che alcuni ebrei perseguitassero i primi cristiani, intesi come membri di una religione diversa dalla propria, è priva di fondamento. Ciò non significa la mancanza di tensioni, avversioni e anche di atti violenti, tutti però vanno collocati in un ambito intra-giudaico. In questo senso la testimonianza autobiografica di Paolo (Gal 1,13-14, Fil 3,6) o quelle su Paolo (At 9, 1-2) sono inequivocabili.
Anche se ci si spostasse alla fine del I secolo riferendosi alla assai discussa e storicamente incerta disposizione assunta dal cosiddetto sinodo di Yamnia (o Yavne), la questione, in sostanza, non muterebbe. Pure se si facesse propria la problematica linea tradizionale secondo cui quel consesso decretò l’espulsione dalla sinagoga degli ebrei credenti in Gesù Cristo (cfr. Gv 9,22; 16,2), ci si muoverebbe comunque in un ambito interno. Infatti l’“espulsioneˮ sarebbe stata affidata all’inserimento nella liturgia sinagogale della Birkat ha-minim (Benedizione – eufemismo per maledizione – degli eretici) che gli ebrei credenti in Gesù Cristo non sarebbero stati nelle condizioni di recitare per non automaledirsi. Anche se ci accettasse questa versione – ormai scarsamente accreditata sul piano della ricerca storica – resterebbe evidente che i credenti continuavano a frequentare la sinagoga e che non ci fu alcuna vera e propria scomunica o espulsione loro comminata.

Più complesso individuare le cause dell’ostilità. Paolo motiva la propria avversione appellandosi al suo attaccamento alla «tradizione dei padri» (Gal 1, 14), per questo approccio, il «principio di verità» deriva dal passato; ogni novità è quindi pericolosa in quanto dissesta il sistema. La novità è il kerigma stesso che annuncia Gesù Cristo crocifisso e risorto che può essere detto «secondo le Scritture», senza la possibilità di fondarlo sulla «tradizione dei padri» (1Cor 15, 3-4). Secondo Luca, proprio la fede nella resurrezione spiega la maggior affinità degli aderenti alla Via (modo lucano per indicare la comunità dei credenti, cfr. per es. At 9,2) con i farisei, che credevano nella resurrezione dei morti, rispetto a quanto non lo fossero nei riguardi dei sadducei che negavano la resurrezione (At 23,1-11).
Come si deduce ancora dagli Atti, va tenuta presente anche l’esistenza di diffuse pretese messianiche. In una discussione avvenuta in Sinedrio il fariseo Gamaliele il vecchio dichiara che non bisogna stroncare e reprimere il movimento che fa capo agli apostoli. Per sostenerlo ricorda che sono sorti altri personaggi dotati di pretese messianiche, Teuda e Giuda il Galileo. Fu un fuoco di paglia. Non è perciò necessario opporsi frontalmente agli apostoli, infatti se la loro opera fosse umana verrebbe meno da sé, mentre se derivasse da Dio sarebbe indistruttibile (At 5,38-39).

Vi è un’ultima fondamentale precisazione da compiere, le fonti che parlano delle tensioni tra credenti in Gesù Cristo e altri gruppi giudaici risalgono, quasi esclusivamente, a scritti neotestamentari o ad apocrifi cristiani. La documentazione rabbinica è sia scarsa sia risalente a epoca più tarda. L’esempio più evidente in materia è proprio quello dei farisei dei quali, dal punto di vista rigorosamente storico, si conosce assai meno di quanto le polemiche evangeliche lascerebbero supporre (cfr. J. Savers, A.-J. Levine [a cura di], I farisei, Gregorian University and Biblical Institute Press, Roma; San Paolo, Cinisello Balsamo 2021).