Pubblichiamo l'intervista a cura di Paola Cavallari, pubblicata nella rivista "una città", a quattro donne ebree italiane: Franca Coen, Luisa Basevi, Pupa Garribba, Lia Tagliacozzo. 

Franca Coen nel periodo 1978-1997 è stata direttrice dell’Orfanotrofio israelitico italiano Pitigliani; nel 2001-2008 consigliera delegata alle Politiche della multietnicità e intercultura del Comune di Roma, ora è vicepresidente di RfP (Religions for Peace) e coordinatrice di “Donne di fede in dialogo”. È socia dell’Osservatorio interreligioso sulle Violenze contro le donne.
Luisa Basevi è nata a Roma nel 1966, ha vissuto in vari paesi, tra cui Israele. Attualmente risiede a Roma dove insegna lingua ebraica moderna e biblica presso vari enti.


Pupa Garribba è nata a Genova nel 1935, abita a Roma. Attiva nel campo della memoria nelle scuole, nella Shoah Foundation di Los Angeles e nella Casa della memoria e della storia, ha diretto il trimestrale “Karnenu” del Fondo Nazionale Ebraico, collabora con il mensile “Confronti”, è corrispondente del mensile “Cahiers Bernard Lazare” di Parigi. Ha curato cinque libri sulla cultura ebraica e la memoria. Ha fondato la Comunità ebraica progressiva Beth Hillel di Roma.
Lia Tagliacozzo fa la giornalista e la scrittrice da molti anni. Ha lavorato all’Unione delle Comunità ebraiche italiane e adesso è tornata a collaborare con “Sorgente di vita” (Raitre), “Il Manifesto” e scrive libri. Gli ultimi due - editi entrambi da Manni - sono La generazione del deserto, storie di famiglia, di giusti e di infami durante le persecuzioni razziali e Tre stelle nel buio, il giorno della memoria raccontato in una scuola.

Come vive questo momento storico così tragico?
Franca Coen. Sono italiana, ebrea; data la mia età ho vissuto in Italia negli anni della persecuzione nazifascista. Tutta la mia famiglia di origine vive oggi in Israele. Mi sembra questa premessa necessaria per rispondere alla domanda di come sto vivendo questo momento storico. Nel corso della mia esistenza ho avuto sempre grande attenzione verso le diversità e mi sono infatti dedicata, nel mio percorso professionale, alle fasce della società che rappresentavano una fragilità particolare: gli stranieri, gli immigrati, gli appartenenti a religioni di minoranza, le donne, gli anziani, i bambini. Ho sempre ritenuto che le varie fedi religiose, nel corso dei tempi sempre più presenti nel tessuto sociale italiano, rappresentassero un unicum su cui basare buone pratiche di convivenza. I tragici avvenimenti del 7 ottobre, con la mattanza da parte di un folto gruppo di terroristi che aggredisce centinaia di esseri umani inermi per torturarli e sterminarli, mi ha provocato un’attonita incredulità e mi ha lasciato senza fiato, non solo per la crudeltà e la modalità dell’evento, ma per la gioia che esso ha provocato negli esecutori e nei mandanti, che l’hanno organizzato con la volontà di filmare, registrare, riprendere le azioni e renderle note, congratulandosi della riuscita di un atto così violento. Non sono stati risparmiati bambini, perfino lattanti, uomini e donne anziani, ragazzi e ragazze adolescenti. Mi sono interrogata sulla motivazione per un massacro del genere: colpire un popolo di un’altra fede, la volontà di sterminare degli ‘infedeli’? Quindi una lotta di religione? Colpire chi usurpa la propria terra? Quindi una guerra territoriale? Odio verso il diverso? Quindi un desiderio di predominio sull’altro? Tutte le convinzioni portate avanti nella mia esistenza mi sono all’improvviso sembrate illusorie ed errate.
Ho provato un sentimento di regressione affettiva; mi sono di nuovo sentita diversa come quando avevo sei anni e uscirono le leggi razziali e mi fu impedito di essere me stessa, perfino costringendomi a cambiare il mio nome e a nascondermi come se fossi colpevole, allontanandomi dagli amici, dal mondo intero. Ho trascorso, poi, la mia vita con l’intento di farmi accettare e ho sempre avuto intorno amici e conoscenti affettuosi, sentendomi pienamente integrata e apprezzata in Italia, il mio Paese, la terra in cui sono nata; gli eventi del 7 ottobre mi hanno all’improvviso resa sospettosa e insicura di fronte agli altri e mi è sembrato di sentirmi additata e colpevole.

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