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a cura di Carlo Bolpin, Gianni Manziega, Lucia Scrivanti
Pensare e dire la fede oggi, si può?
In precedenti numeri abbiamo pubblicato testimonianze personali di fede in Gesù Cristo. Ora poniamo la domanda sulla differenza tra la fede, come abbandono fiducioso all’esperienza dell’Assoluto nel finito, e la religione, come sistema di dottrine, culti, regole. Il numero è diviso in tre parti. Ciascuna pone questa questione: nella modernità; nelle religioni storiche (ebraismo, islam, buddhismo); nel cristianesimo.
Le religioni hanno avuto origine non da una teoria a cui credere, ma da una persona che ha avuto una totalizzante esperienza del rapporto con un totalmente Altro, e che viene riconosciuto da chi lo incontra come Autorità a cui affidarsi in quanto annuncia una “rivelazione” (in diversi modi) trascendente, che va accolta: non è la consegna di una Verità da credere, non è la conclusione di un teorema, ma è la Via dell’incontro con Dio nella vita quotidiana. Questo Altro non può che essere conosciuto se non nella sua rivelazione, che quindi svela e nasconde, non può essere visibile nelle cose, né è autoprodotta. In questo senso la fede è “grazia” (nel linguaggio cristiano), un dono a tutte e a tutti, non necessario, offerto senza chiedere un corrispettivo, dato non per meriti, che può essere accolto o rifiutato liberamente. Siamo i destinatari di un dono che ci precede e che ci abilita a trasmettere, a nostra volta, quanto ricevuto.
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