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a cura di Cristina Oriato, Laura Venturelli
Questo numero di Esodo si coordina con quello precedente, entrambi originati da una riflessione su come costruire un mondo di pace, partendo dalla constatazione che la guerra è un male - non necessario e non inevitabile - e che occorre costruire le condizioni per evitarla. Tra queste si individuava e riconosceva nel superamento della sovranità dello Stato Nazione, nella trasformazione e nel potenziamento delle organizzazioni internazionali una fondamentale e inderogabile via per la soluzione dei conflitti e delle guerre. In questa direzione il numero integra un’altra proposta, una metodologia, una scelta possibile: quella della nonviolenza, come opzione soggettiva-individuale e/o come espressione di una scelta collettiva e quindi di una politica della nonviolenza. Occorre infatti capovolgere la logica, risultata fallimentare: “se vuoi la pace prepara la guerra”.
Abbiamo voluto approfondire la nonviolenza come un altro modo “di stare al mondo”, attraverso teorie, ma soprattutto esempi e pratiche nei rapporti di convivenza sociali a tutti i livelli, nelle religioni e nelle relazioni interpersonali, per offrire una risposta alla comune affermazione che “tutti siamo per la pace, ma le guerre sono sempre esistite e sempre esisteranno” e per poter superare, quindi, quell’idea di pace, che dai tempi antichi sorprendeva Tacito “ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” (“dove fanno il deserto, lo chiamano pace”), che, inevitabilmente segue, ma al caro prezzo di morti, devastazioni, distruzioni che generano, anche nelle generazioni future, odio, vendetta e ancora guerra e morte. La domanda che ci siamo posti è che cosa sia la nonviolenza, quali manifestazioni ha avuto e quali risultati ha ottenuto nei conflitti tra gli esseri umani nei diversi periodi della storia. La nonviolenza (individuale e/o collettiva) richiede di sfatare che sia arrendevolezza, speranza senza proposte, testimonianza individuale: è invece tutto il contrario. È una modalità propositiva di soluzione dei conflitti, che comporta pratiche attive collettive, anche di lotta per i diritti, per la giustizia, per un nuovo ordinamento mondiale, nel continuo confronto con l’altro/a chiunque esso sia perché la nonviolenza non mira a vincere, ma piuttosto a convincere.
Anche nell’ambito delle religioni gli interessanti contributi offerti raccontano come la via della nonviolenza sia stata formulata e praticata in modi diversi: “l’insegnamento della teologia oggi è chiamato a porre attenzione al disarmo degli spiriti e dei cuori, al superamento dei nazionalismi e delle contrapposizioni tra i popoli, alla condanna di ogni tentativo religioso di giustificare la guerra, al superamento dei neo costantinismi, alla crisi ecologica umana in atto con la sistematica distruzione dell’ambiente e della fraternità”2.
Nelson Mandela, appena uscito dal carcere disse: "love, for the human heart is more natural hatred" ("l'amore, per il cuore umano, è più naturale dell'odio") e noi speriamo sia vero.
Note
1) "Politiche della nonviolenza” in Agire la nonviolenza, camminare, ascoltare, disobbedire, a cura di Giulietta Raccanelli, Comune di Venezia, Centro Pace 2002, pag. 39.