di Maurizio Ambrosini   

Il governo Meloni ha in realtà tre politiche migratorie. La prima è la continuazione della buona accoglienza dei profughi ucraini, accuratamente tenuti fuori dal dibattito sui confini e l’invasione: 150.000 persone, un terzo dei rifugiati accolti nel nostro paese.
La seconda politica è l’accresciuta apertura agli ingressi di lavoratori: 452.000 in tre anni. Senza però nessuna misura di accoglienza e integrazione. Soltanto braccia, richieste con inedita energia dagli attori imprenditoriali. 
A questo punto entra in scena la terza politica, quella della chiusura verso gli ingressi per ragioni umanitarie. Il governo Meloni, costretto a rinunciare al sovranismo su altri e più impegnativi dossier, come il rigore di bilancio richiesto da Bruxelles, ha individuato nella politica dell’asilo il terreno su cui rispondere alle attese dei suoi elettori e mostrare fedeltà con il proprio profilo ideologico. Tra l’altro a basso costo, e comunicando persino il messaggio di risparmiare sulle spese per l’accoglienza, avendo accuratamente rimosso il dossier ucraino.

Gli impedimenti frapposti ai salvataggi in mare da parte delle ONG, il decreto Cutro con la quasi abolizione della protezione speciale per i rifugiati e la conseguente condanna a una vita di stenti per i richiedenti asilo respinti, ma raramente espulsi, le restrizioni dell’accoglienza dei minori non accompagnati, costretti a convivere per mesi con gli adulti in spregio dei diritti dell’infanzia, i ripetuti viaggi e gli accordi con il regime tunisino e con quello egiziano, oltre a quelli con la Libia, hanno disegnato una linea politica a suo modo coerente. Il governo italiano sta di fatto rinnegando l’art.10 della Costituzione e le convenzioni internazionali sul diritto d’asilo. A un mondo attraversato da crescenti crisi umanitarie risponde con una restrizione di umanità. Se poi, come è probabile, arriveranno un giorno delle sentenze che limiteranno gli effetti di queste misure, il risultato politico e propagandistico sarà stato comunque raggiunto. Non va trascurato il fatto che l’UE di Ursula von der Leyen, e diversi governi europei, in questa fase mostrano una progressiva convergenza con le posizioni meloniane: pensano di contrastare il populismo sovranista adottandone le proposte. Il fronte dell’accoglienza non deve attendersi molto da Bruxelles: difficilmente arriveranno dalle istituzioni politiche dell’UE degli impedimenti alla linea del governo italiano.
In questa cornice s’inserisce l’accordo con l’Albania e la realizzazione di centri extraterritoriali per l’esame delle domande di asilo. Meloni non ha esitato a parlare di una misura di deterrenza nei confronti dei potenziali partenti. Il fatto - pure sbandierato - che nei due centri verranno trattenuti soltanto uomini adulti non fragili, tratti in salvo da navi militari e provenienti da paesi classificati come sicuri, conferma l’intenzione punitiva del progetto, e dunque l’obiettivo di spargere paura tra i candidati all’asilo. Non per caso, l’ispirazione è venuta dal progetto britannico di deportazione in Ruanda dei migranti sbarcati dal mare. Già al primo viaggio, quattro naufraghi sono stati però reindirizzati verso l’Italia perché non rientravano nei criteri per l’invio in Albania: erano minorenni, oppure adulti fragili.
Altri interrogativi riguardano sia il livello pratico-operativo, sia quello dei principi. Anzitutto, al di là dei costi (800 milioni di euro in cinque anni secondo "il Sole 24 Ore", ma il calcolo probabilmente è approssimato per difetto) il piano governativo si concentra su una parte dei richiedenti asilo: 39.000 casi all’anno. Ma il calcolo si basa sull’ipotesi di trattare le domande in quattro settimane, grazie a una procedura accelerata, mentre oggi serve mediamente più di un anno, spesso due. Si prevedono collegamenti online con Roma e altre forzature procedurali. Per accelerare i tempi, si comprimono i diritti dei richiedenti, lasciando loro pochissimo tempo per prepararsi all’audizione, raccogliere la documentazione utile a suffragare la loro richiesta, fare appello alla giustizia in caso di diniego: una settimana soltanto per quest’ultima azione. Quanto all’elenco dei paesi sicuri, è già emerso il pressapochismo con cui si è mosso il governo Meloni. Qualche mese fa la lista italiana era stata allargata a 22 paesi, tra cui Egitto, Tunisia, Nigeria, contro nove soltanto della Germania. Casi dunque assai dubbi, “sbiancati” per poter accrescere i dinieghi dell’asilo: non i rimpatri, molto più complicati e costosi. Poi è stata ignorata la sentenza della Corte di giustizia europea degli inizi di ottobre, che ha condotto all’annullamento del trattenimento dei primi dodici malcapitati. Ora è stata approvata una nuova lista, ridotta a 19 paesi, senza la Nigeria. Per contri paesi come Egitto e Tunisia sono stati dichiarati sicuri per tutti, senza eccezioni. La lunga carcerazione di Patrick Zaki a quanto pare è stata dimenticata. Per evitare altri incidenti di percorso, la controversa lista è stata inoltre incardinata in un decreto-legge che dovrebbe essere più difficilmente attaccabile da parte della magistratura.
La vicenda è significativa, perché il governo ne ha approfittato per affermare conflittualmente due punti, entrambi molto espressivi del suo profilo ideologico, come ha notato Franco Monaco su "Domani". Il primo è la prevalenza del potere politico, forte della legittimazione elettorale, sul sistema giudiziario. Il secondo è la prevalenza del diritto nazionale su quello europeo. Il primo contraddice il costituzionalismo democratico, basato sulla preoccupazione di limitare il potere di chi per un certo periodo ha la responsabilità del comando. Il secondo contraddice la subordinazione delle norme italiane a quelle dell’UE, recepita dalla nostra Costituzione. Non si tratta quindi di questioni secondarie o meramente tecniche, ma dell’avvio di una riscrittura delle regole democratiche.
Non è chiaro poi che cosa succederà ai richiedenti la cui domanda verrà respinta. Data la scarsa capacità delle autorità italiane di realizzare i rimpatri, si potrebbe pensare a un rilascio in Albania, ma il presidente Rama si è già risolutamente opposto. Si potrebbe così configurare l’esito paradossale di un trasferimento in Italia dei richiedenti diniegati.
In conclusione, il governo Meloni sta navigando in materia migratoria tra opposte esigenze: quella della chiusura delle frontiere, quella della solidarietà con l’Ucraina, quella dell’apertura ai lavoratori richiesti dal sistema produttivo. Si muove in una materia complicata tra approssimazione, forzature delle regole, ricerca di consenso.
Certamente però le politiche migratorie meloniane suscitano anche dissenso, in un paese in cui pullulano le iniziative di accoglienza e solidarietà verso rifugiati e immigrati. La saldatura tra solidarietà e azione politica, tra presenze diffuse sui territori e visibilità nazionale, tra impegno dei solidali italiani e maggiore protagonismo degli immigrati stessi, sarebbe la risposta auspicabile al sovranismo gridato, guidato da un cattivismo esibito, strumentale alla raccolta di un consenso basato su paure, pregiudizi, propaganda ingannevole.