Alcune associazioni di area antropologica hanno redatto un comunicato che contesta l'uso discriminatorio del termine "etnia" che si fa in questo periodo a livello politico e governativo.

La Società Italiana di Antropologia Applicata (SIAA), la Società di Antropologia Culturale (SIAC), l’Associazione Nazionale Professionale Italiana di Antropologia (ANPIA) e la Società Italiana per la Museografia e i Beni Demoetnoantropologici (SIMBDEA) esprimono grande preoccupazione per l’uso sempre più frequente nel linguaggio pubblico di termini e concetti come etnia, identità e persino cultura, con significati semplificati e distorti, riconducibili alla costellazione di idee collegate al concetto di razza. Così facendo, si rinforzano i fraintendimenti che hanno così drammaticamente marchiato la storia della prima metà del Novecento, rinvigorendo i processi di razzializzazione e discriminazione che caratterizzano la nostra contemporaneità.

Nel 2018 le associazioni e le società scientifiche italiane delle antropologhe e degli antropologi avevano già condannato il riemergere esplicito e progressivo del razzismo nella politica italiana (Razza e dintorni: la voce unita degli antropologi italiani). Oggi altre/i colleghe/i hanno tempestivamente decostruito, dal punto di vista storiografico e critico, alcune grossolane ancorché minacciose trivialità che stanno circolando nel discorso politico e pubblico, come “sostituzione etnica” o “etnia italiana” (vd. Aime https://www.ilfattoquotidiano.it/blog/maime/, Rivera https://comune-info.net/il-grande-imbroglio-della-sostituzione-etnica/, Vereni https://kamicose.it/sostituzione-etnica-la-colpa-non-e-solo-del-ministro-lollobrigida-ma-dellantropologia-culturale/).

Qui sentiamo l’urgenza di denunciare di nuovo e collettivamente la strumentalizzazione di pseudo-concetti identitari, come quello di etnia, che inquinano quotidianamente lo spazio pubblico e mettono a rischio i princìpi stessi su cui si fonda la democrazia.
Nonostante sia universalmente dimostrato che la nozione di razza non abbia alcuna fondatezza scientifica, a livello pubblico e politico sembra si faccia fatica ad accettare l’uguaglianza dei gruppi umani, con un richiamo – oggi al di là di ogni limite – a presunte “ereditarietà” di caratteri culturali, etnici e identitari. Si manifesta, infatti, con sempre maggiore frequenza la tendenza a considerare cultura, etnia e identità come categorie dotate di un’essenza immutabile, rigida e statica, e a gerarchizzare tali differenze. Questa non è una bonaria forma di ignoranza, ma un “nuovo” razzismo che fomenta fondamentalismi, esclusioni, discriminazioni.
Ribadiamo con urgenza e fermezza che per l’antropologia scientifica, etnia corrisponde solo a un costrutto astratto di origine coloniale che, di volta in volta e a seconda dei contesti storici, viene utilizzato per definire differenze tra un “noi” e un “loro” e stabilire correlativamente gerarchie sociali, economiche, di accesso ai diritti. Ogni affermazione di un’identità etnica presuppone la manipolazione del passato, cioè un processo di invenzione o identificazione arbitraria di un confine simbolico - spesso concepito e presentato come invalicabile - fra i gruppi socio-culturali. Che poi si faccia in questi giorni riferimento ad una “etnia italiana” ci dovrebbe far pensare al passato (ma anche al presente), agli italiani altrove, che proprio perché considerati “etnia” sono stati discriminati ed emarginati. Non dimentichiamo, inoltre, che la manipolazione dell’identità etnica o nazionale ha generato e continua a provocare aberranti e sanguinose operazioni di pulizia etnica. È, infatti, importante riconoscere che dietro l’uso cosmetico di termini apparentemente neutri come quelli di identità e cultura può celarsi uno slancio propagandistico i cui esiti possono portare alla rinascita di sentimenti nazionalistici che in Europa sono già tornati a manifestarsi.
L’antropologia culturale ha messo a disposizione una moltitudine di studi che dimostrano il valore etico e scientifico del riconoscimento delle pluralità umane in continua evoluzione e trasformazione.
Non c’è nulla di statico nelle culture o nelle identità, così come nei gruppi “etnici”, e tantomeno in un paese come l’Italia, da sempre crocevia di culture e gruppi diversi. Proprio questa diversità consente ai cittadini di sviluppare la capacità di conoscere, adattarsi e immaginare il proprio futuro. Al contrario, una politica che ritenga la nazione come una entità etnicamente pura, omogenea e incontaminata non ha alcun futuro, se non quello di perpetuare le disuguaglianze e le rendite di posizione.
Da qualche anno è in atto una pericolosa involuzione storica: è urgente mobilitarsi per denunciare di volta in volta l’abuso pseudo-scientifico e astorico di concetti complessi e stratificati, finalizzato alla ri-attualizzazione di elementi ideologici di chiara radice razzista e nazi-fascista. Occorre smascherare le ri-significazioni strumentali di parole solo apparentemente neutre e presidiare i princìpi di uguaglianza, inclusione, pluralità sanciti dallo Stato di diritto, dalla democrazia e dalla Costituzione, questa sì, italiana.