di Maurizio Ambrosini      

Nel dicembre 2022 cade il cinquantesimo anniversario dell’approvazione di una legge molto importante per migliaia di giovani italiani di ieri e di oggi: l’approvazione della legge Marcora che riconosceva l’obiezione di coscienza al servizio militare e introduceva, pur se tra molte resistenze e restrizioni, la possibilità di un servizio civile sostitutivo. Venti mesi anziché dodici, all’epoca.
Dal 2001, finita la stagione della leva obbligatoria, il servizio civile è diventato volontario. Possiamo definirlo come un’attività istituzionalmente promossa, anche se non necessariamente gestita dall’amministrazione pubblica, rivolta alla popolazione giovanile, temporanea, mirante a promuovere in svariati modi l’impegno sociale a favore di cerchie più o meno prossime di potenziali beneficiari o della comunità nel suo complesso. Un istituto dunque finalizzato a sviluppare esperienze di cittadinanza attiva, collegato all’idea di promozione della pace o di difesa non armata della patria. In cambio di questo impegno, lo Stato (o altri donatori, come nel Regno Unito) riconoscono un corrispettivo economico ai partecipanti.

Al servizio civile, nel cinquantenario della sua prima introduzione nell’ordinamento italiano, è dedicato un libretto, uscito per Il Mulino nella collana “Farsi un’idea”: Maurizio Ambrosini e Anna Cossetta, Il nuovo servizio civile. La meglio gioventù in azione, Bologna, Il Mulino, 2022. E’ di fatto il primo tentativo di tracciare un bilancio dell’esperienza, dei problemi aperti e delle prospettive. Dalle conclusioni traiamo spunto per le riflessioni che seguono.

1. Che cos’è il servizio civile 

Nelle esperienze di  servizio civile, che in vari modi si attuano in vari paesi del mondo, si riscontrano i seguenti elementi:
- un impegno pubblico, in genere regolamentato da leggi apposite, finanziamenti, uffici di coordinamento
- un orientamento alla popolazione giovanile in transizione verso la vita adulta e l’ingresso a pieno titolo nel mondo del lavoro, coinvolta in forme temporanee nelle attività proposte
- una  ricompensa economica, non paragonabile però con quella di un normale rapporto di lavoro: si tratta attualmente di poco più di 400 euro al mese
- una finalizzazione delle attività verso il “bene comune”, ossia verso obiettivi di interesse collettivo, anche quando il servizio viene svolto presso organizzazioni indipendenti
- una volontà di formazione di cittadini consapevoli, motivati alla partecipazione, attivi nelle comunità locali
- una matrice e una sensibilità pacifista, oggi riattualizzata dall’emergenza bellica in Ucraina
- una collocazione distinta tra il volontariato, il lavoro per il mercato, il servizio pubblico.
Complessivamente in Italia i giovani che hanno vissuto l’esperienza del servizio civile nell’arco di vent’anni sono stati circa mezzo milione, quindi poco più di una media di 25.000 all’anno. Un numero importante, che fa risultare il Servizio Civile come  la policy che coinvolge il maggior numero di giovani, dopo l’istruzione, anche se, a ben guardare, riesce a superare lo 0,5% del complesso della popolazione giovanile solo negli ultimi anni. I finanziamenti e quindi i posti disponibili hanno avuto andamenti altalenanti, giacché i decisori politici hanno palesato incoerenze nella promozione e nella difesa dell’istituto nei ricorrenti momenti di crisi della spesa pubblica. Di volta in volta, infatti, o le risorse non venivano allocate o si sono susseguite sperimentazioni su sperimentazioni che hanno contribuito a fare in modo che il Servizio Civile non venisse compreso come un istituto unitario, quanto piuttosto una possibilità che aveva bisogno di essere specificata attraverso ulteriori aggettivi o dettagli. Nel tempo, quindi il Servizio Civile sembra essersi sempre più allontanato sia dall’obiezione di coscienza, sia da altri istituti come l’Anno di Volontariato Sociale, per divenire un’opportunità da cogliere, sia in termini di occupabilità, sia in termini di costruzione delle competenze trasversali, ma con problemi ad affermare una precisa identità.
Nonostante gli aggiornamenti normativi, i cambiamenti relativi alla demografia della popolazione giovanile, per non parlare del contesto sociale, i problemi e le caratteristiche del Servizio Civile sembrano essere ormai piuttosto strutturali. Vediamo i principali dati. 

2. Il profilo dei partecipanti

Prima fra tutte nel servizio civile si pone una “questione di genere”, poiché fin dal 2001 si è registrata una prevalenza femminile. Anche nel 2019, ultimo anno per cui sono disponibili i dati nazionali, le ragazze rappresentavano oltre il 60% del totale dei volontari. Questa percentuale arriva addirittura al 70% nella provincia autonoma di Bolzano e nelle regioni Veneto e Puglia. L’unica regione che a partire dal 2017 vede una sorta di parità di genere è la Liguria. Rispetto al 2009, tuttavia, il gender gap si è affievolito: dieci anni prima la percentuale di ragazze era del 67,4% a livello nazionale.
Il secondo dato che appare costante in tutte le rilevazioni riguarda la prevalenza delle regioni del Sud Italia e delle Isole. A seguito dell’introduzione del Servizio Civile Universale e dell’ampliamento dei posti disponibili questa tendenza sembra essersi addirittura accentuata. Le regioni del Nord non hanno mai raggiunto nemmeno il 27% dei volontari avviati e il Centro supera di poco il 20%. Il Sud e le Isole raccolgono da sempre oltre la metà di tutti gli operatori volontari in servizio civile. Le due regioni con il maggior numero di partecipanti sono infatti costantemente la Sicilia e la Campania (ognuna di esse supera il 15% del totale).
Un terzo dato ferreo riguarda i settori di intervento dei progetti nei quali vengono coinvolti gli operatori: oltre il 50% riguarda l’assistenza, seguono l’educazione e la promozione culturale e dello sport, poi la tutela del patrimonio storico, artistico e culturale. Davvero scarsi risultano i progetti relativi all’ambiente, alla protezione civile e alla risoluzione dei conflitti.
Gli unici dati che hanno conosciuto un certo dinamismo riguardano le classi di età dei partecipanti che si stanno lentamente spostando verso il limite dei 28 anni. I giovani in servizio civile stanno infatti a poco a poco “invecchiando”. Se si comparano i dati del 2019 con quelli di dieci anni prima la fascia di età 27-28 anni è passata da 16,4% del 2009 al 26,8%, mentre entrambe le fasce da 21 a 23 anni e da 24 a 26 anni, che superavano abbondantemente il 30%, si sono ridotte di circa 3 punti ciascuna. Anche la fascia più giovane scende, passando da circa il 18% al 16%, confermando la tendenza a uno spostamento in avanti dell’età in cui si decide di partecipare a questa esperienza.
Anche la ripartizione per titolo di studio appare sostanzialmente stabile: il grosso dei partecipanti possiede un livello di istruzione corrispondente al diploma di scuola secondaria superiore. Nel 2019 il 67,1% degli operatori volontari è in possesso di tale titolo di studio, mentre il 23% è rappresentato dai giovani che hanno conseguito una laurea, sia triennale (10,8%) sia magistrale (11,9%). Nonostante una maggiore attenzione ai giovani con bassa istruzione, a cui sono destinati progetti dedicati, il servizio civile stenta a raggiungere i giovani maggiormente a rischio di marginalità, che per diversi aspetti ne potrebbero trarre i maggiori benefici. Problemi informativi, impostazione dei progetti, insufficienti campagne promozionali, processi selettivi impliciti ed espliciti, sembrano continuare a penalizzare le fasce deboli della popolazione giovanile.
Una novità importante è stata invece introdotta  sul fronte della cittadinanza politica dei partecipanti a partire dal 2015, quando la Corte costituzionale con una storica sentenza redatta da Giuliano Amato, ha abolito, tra i requisiti di ammissione al Servizio Civile, la cittadinanza italiana. Da allora i giovani con cittadinanza straniera hanno iniziato, seppure timidamente, a partecipare ai progetti di Servizio Civile, arrivando, proprio nel 2019, a sfiorare le 5.000 candidature.
Per quel che concerne infine le aree geografiche in cui si svolgono progetti a cui partecipano i giovani in Servizio Civile all’estero, i due continenti prevalenti sono anch’essi in modo piuttosto costante l’America Latina e l’Africa, che raccolgono quasi il 70% del totale (nel 2009 corrispondevano al 68%). Molto ridotto il numero di progetti e di volontari che riguardano America Centrale e Settentrionale, Asia e Oceania. In Europa e prevalentemente nei paesi dell’Est europeo, si collocano invece circa un quarto dei destinatari dei progetti di Servizio Civile all’estero.

3. Una fisionomia composita

Il servizio civile italiano ha poi assunto nell’arco della sua ormai piuttosto lunga e complessa storia significati e fisionomie piuttosto composite. La maggior parte della popolazione, esclusi i giovani che l’hanno praticato, gli addetti ai lavori e pochi altri, sarebbe probabilmente in difficoltà se dovesse spiegare in che cosa consiste. Manca ancora persino un termine soddisfacente per definire i suoi protagonisti (nel lessico ufficiale si parla, in modo piuttosto anodino, di “operatori volontari del servizio civile universale”).
Sul piano della comunicazione pubblica, l’istituto ha conquistato maggiore visibilità e notorietà negli ultimi anni, grazie al fatto di essere stato ripetutamente collegato a eventi ed emergenze di portata nazionale e internazionale, dai terremoti a Expo Milano 2015, alle Olimpiadi invernali in programma, passando attraverso il COVID-19. Come ha osservato a quest’ultimo riguardo il Dipartimento che se ne occupa presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, “Nel corso dell’emergenza i giovani operatori volontari di servizio civile universale sono stati in prima linea, impegnati con responsabilità, consapevolezza e tempestività, in azioni di promozione dei valori fondativi della Repubblica - come la difesa della vita, della sicurezza delle persone e dei diritti umani - che si sono concretizzate nel supporto ai più fragili, nel sostegno alle famiglie in difficoltà, in azioni educative nei confronti dei minori e in numerose altre attività di contrasto e mitigazione dell’emergenza sulla comunità”.
Anche mediante queste esperienze, da fenomeno elitario ed elettivo il servizio civile si è trasformato in opportunità diffusa e discretamente conosciuta tra i giovani, seppure non ancora di massa. Diversi ministeri e settori dell’amministrazione pubblica sono stati via via coinvolti, grazie ai progetti speciali, rafforzando la dotazione di risorse umane destinate agli eventi, aumentando i posti disponibili, accrescendo la trasversalità e la risonanza dell’istituto, promuovendo altresì una maggiore visibilità sociale delle stesse politiche pubbliche. Hanno agito nello stesso senso le etichette applicate ad alcune versioni specializzate del servizio civile: servizio civile digitale, ambientale, e altre. Il PNRR ha contribuito a dare rilievo al servizio civile, collegandolo alle missioni digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura, inclusione e coesione sociale.
La proliferazione delle versioni e delle applicazioni del servizio civile comporta però il costo di una perdita d’identità, di radicamento istituzionale e di riconoscibilità del servizio civile: se l’istituto può declinarsi in tanti modi diversi, diventa più difficile spiegare e comprendere in che cosa consista precisamente. Dovremmo domandarci se i giovani impegnati in Expo Milano 2015 o quelli che si dedicheranno alle Olimpiadi invernali del 2026 abbiano la consapevolezza di contribuire alla difesa non armata della patria o di partecipare a un’esperienza di cittadinanza attiva.

4. Le funzioni esplicite e implicite del servizio civile

Il servizio civile ha dimostrato in questi vent’anni di essere uno strumento flessibile e versatile: di fatto, dopo l’istruzione, il principale dispositivo di politica giovanile di cui i governi possono disporre, sia gestendolo direttamente, sia coinvolgendo gli enti locali, sia mettendolo a disposizione di un’ampia gamma di soggetti del terzo settore. Proprio la versatilità ha fatto sì che sul servizio civile si scarichi una pluralità di attese e di funzioni sociali, non sempre facili da combinare e gestire simultaneamente. Sintetizzando, possiamo ricordare le seguenti, che forse neppure esauriscono il panorama:
- funzioni occupazionali (o pre-occupazionali)
, particolarmente enfatizzate negli ultimi anni e maggiormente avvertite nelle aree territoriali più deboli del paese, in cui il servizio civile tende a diventare un surrogato dei posti di lavoro che mancano, mentre più in generale si insiste sul suo valore in termini di rafforzamento dell’ “occupabilità” dei giovani;
- funzioni formative, in termini di opportunità di acquisizione di conoscenze e competenze (organizzative, comunicative, relazionali…), che completano e attualizzano i percorsi formativi e accrescono il capitale umano dei giovani, talvolta si pongono in continuità con le esperienze formative precedenti e si configurano come un tassello della transizione tra formazione e lavoro, altre volte come un periodo di prova o di tirocinio. Non manca l’aspettativa di incremento del capitale sociale individuale, sotto forma di contatti e rapporti con il mondo adulto, con enti del terzo settore e con istituzioni pubbliche;
- funzioni solidaristiche, laddove l’enfasi è posta sulla maturazione di disposizioni e comportamenti pro-sociali, generalmente organici al composito mondo della solidarietà organizzata, a volte collocate in continuità biografica con attività di volontariato e di impegno sociale variamente connotato;
- funzioni di servizio, ossia di rafforzamento della rete di protezione sociale, o più modestamente di tamponamento delle manchevolezze e degli arretramenti del sistema di welfare, con un’attenzione prevalente alle attività svolte e alla loro utilità sociale. Le proposte di servizio civile legate a grandi progetti o emergenze rientrano in una prospettiva abbastanza simile, aggiungendovi la visibilità e l’impatto comunicativo: il servizio civile serve a rifornire di personale aggiuntivo alcuni ambiti organizzativi emblematici per le politiche pubbliche;
- funzioni di cittadinanza attiva, che fondano l’interesse pubblico a promuovere il servizio civile e sono particolarmente care ai maggiori enti gestori dei progetti d’impiego degli operatori volontari: il servizio civile è qui visto come un istituto che concorre a formare cittadini consapevoli, partecipativi, impegnati nello sviluppo sociale delle comunità in cui operano (locali, nazionali, internazionali…);
- funzioni di promozione della pace e di un’idea non violenta di difesa della patria, che rappresentano l’anima originaria del servizio civile, sono state per un certo periodo piuttosto trascurate, e tornano oggi attuali, in una stagione di ricomparsa della guerra in Europa e di ripresa degli investimenti per la difesa armata.
Le diverse funzioni non si contrappongono fra loro. Per certi aspetti sono sinergiche: sarebbe difficile per esempio parlare di sviluppo personale senza misurarsi con compiti di servizio orientati a finalità socialmente desiderabili; oppure di cittadinanza attiva senza un impegno per la pace e la solidarietà e senza dedizione ad attività concrete sul territorio. Il rischio è però quello che l’investimento prioritario su alcune funzioni - oggi soprattutto quella occupazionale e quella di servizio a grandi progetti - metta in ombra le altre, depotenziando soprattutto gli aspetti di formazione civica e solidaristica del servizio civile.
Forse è inevitabile ormai concepire il servizio civile come un tronco da cui si dipartono diversi rami: un pacchetto di opportunità, con valenze e obiettivi fra loro abbastanza diversi. Il problema, per rimanere nella metafora, è quello di rendere riconoscibile l’albero e comprendere a chi appartenga.
Una società nazionale che vuole investire sul suo futuro, in termini di trasmissione dei suoi valori democratici e costituzionali alle giovani generazioni non può limitarsi a deprecare l’individualismo, lo scarso impegno sociale e il distacco dalla politica dei suoi giovani cittadini. Non può neppure coltivare realisticamente sogni regressivi di ritorno alla leva obbligatoria. Può invece investire di più e meglio, oltre che sull’istruzione, su un’intuizione feconda come quella del servizio civile, rafforzando un patto di cittadinanza che richiede di essere costantemente rinnovato. Il ritorno della guerra in Europa è lì a testimoniare che abbiamo bisogno di giovani cittadini consapevoli e costruttori di pace.