di Mariacristina Cacco, sorella della Comunità monastica di Marango
Siamo giunti anche quest’anno a Pasqua e sentiamo la necessità di fermarci, fare silenzio e nutrirci di parole di Risurrezione per vincere la rassegnazione di fronte a un tempo malato di indifferenza, arroganza, violenza.
In questo smarrimento, l’ascolto della Parola del Signore ci può aiutare a ritrovare il senso dell’essere umani, la via della sapienza e della speranza.
L’evangelista Giovanni riserva un ruolo di primo piano alla figura di Maria di Magdala, una donna che sa stare sotto la croce, incontra per prima il Risorto e diventa la prima testimone e destinataria dell’annuncio pasquale ai discepoli, l’apostola degli apostoli come qualcuno la definisce.
«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala» (Gv 19,25).
Nel momento straziante della morte le donne con coraggio rimangono fedelmente accanto al loro Signore, fino al suo ultimo respiro esprimendo così tutto il loro affetto, la vicinanza, l’amore.
Nell’ora dell’agonia e della morte, l’amore fedele non abbandona l’altro e diventa il profumo che lenisce l’odore della morte.
«Bisogna amare molto nella vita per amare anche davanti alla morte» così scrive Simone Weil.
Tra le quattro donne c’è Maria di Magdala che, nel quarto vangelo, appare qui per la prima volta.
Con questa scelta, Giovanni la fa diventare la discepola perfetta per la sua fedeltà.
«Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro» (Gv 20,1).
Maria non raggiunge il sepolcro perché deve ungere il corpo di Gesù, questo gesto è già stato compiuto da Nicodemo (Gv 19,39-40), ma spinta unicamente da uno slancio del cuore, dal desiderio interiore di vedere colui che ha amato e, soprattutto, colui da cui è stata amata, guarita e liberata dal male.
Da questo incontro personale di liberazione, era iniziato un cammino di sequela del Maestro.
Maria porta nel cuore quanto ha visto con i suoi occhi dell’agire di Gesù: il suo toccare, guarire, abbracciare, rialzare i calpestati, ridare dignità agli esclusi, accogliere gli emarginati.
Lo sguardo su Gesù le aveva permesso di sperimentare una nuova vita e una via di speranza.
Maria inizia il suo cammino quando la notte non è ancora terminata. Il desiderio di correre da Gesù è così forte che neppure il buio la può fermare. Il suo desiderio, tutto centrato su Gesù, la conduce velocemente.
Come diventa importante anche per noi essere abitati dal desiderio perché ci permette di metterci in cammino, in ricerca, di giocare la nostra esistenza fino in fondo: Massimo Recalcati, nel suo libro La forza del desiderio, dice: «[...] quello che si vede quando parla un uomo di desiderio è che c’è una forza che lo attraversa, che è diversa, che non è la forza dell’io semplicemente, ma è qualcosa di ulteriore rispetto all’io [...] Il desiderio è mio, proprio, definisce ciò che io sono nel più intimo, ma al tempo stesso io non posso governare fino in fondo l’esperienza del desiderio perché è l’esperienza di una forza che mi supera [...]».
Il buio non è solo fuori, ma nel cuore di Maria, che porta con sé il dolore del ricordo del suo Signore morto in croce. In quella notte esistenziale, la relazione con Gesù è il faro che la mette in ricerca. Quel legame non può essersi interrotto completamente. C’è un legame che rimane oltre la morte.
Maria sembra non rassegnarsi alla perdita del suo Signore e così dà tempo al dolore, al silenzio, all’attesa, al guardare. Cerca l’amato del cuore che vive ancora dentro di lei e il cui amore l’aveva cambiata per sempre. Maria nella sua ricerca ci richiama l’amata del Cantico dei Cantici: « [...] lungo la notte ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi alzerò [...]; voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato, ma non l’ho trovato» (Ct 3,1-2).
Giunta al sepolcro, Maria guarda la pietra rotolata e deduce che quello sia il segno reale dell’assenza del corpo del Maestro. A quella vista, Maria si mette ancora in movimento. Ella corre e va da Pietro e dal discepolo amato perché essi sono parte della familiarità con Gesù, essi appartengono a una comune storia di relazioni piene di vita. Le parole di Maria dicono che il contesto di morte, perdita, assenza resta dominante e insopportabile. Maria ha perso il suo orientamento profondo, non sa dove cercare, il suo amore ferito vacilla, ma quanto ha visto viene comunicato, condiviso con i fratelli. Il corpo di Gesù è il corpo delle relazioni, delle parole e dei gesti dell’amicizia, dell’incontro, dell’accoglienza, della cura, della fraternità.
I compagni raccolgono e rispondono al grido di Maria correndo insieme al sepolcro, sostenendo l’uno la fede dell’altro. È una chiesa che, in modo inconsapevole, si mette in cammino, esce, spinta dalla comune ricerca del Signore. E il Signore spinge anche noi a correre con l’altro, a cercare il suo passo, ad attenderlo, ad ascoltarlo. I due discepoli, che accorrono al sepolcro, si limitano a leggere i segni concreti di quell’assenza, non si attardano e tornano a casa.
Maria no, resta, sta vicino al sepolcro e piange. Il rimanere di Maria e le sue lacrime esprimono che il suo amore è più forte della rassegnazione.
«... si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù» (Gv 20,14).
Ecco dunque che Maria si volta indietro, deve allontanare lo sguardo dal sepolcro, che per lei è spazio di morte. Maria non riconosce Gesù perché non è identificabile con l’uomo storico Gesù, egli vive una vita nuova, vive l’alterità del Risorto. Non sa che Gesù risorto non è circoscritto in un luogo, ma è vicino e presente fra i suoi.
«Gesù le disse: Maria!» (Gv 20,16) Gesù la chiama per nome e, a questo punto, ella lo riconosce.
Questa situazione ci riporta ancora una volta al Cantico dei Cantici dove la sposa riconosce la voce dello sposo (cfr. Ct 2,8-5,2). Maria è riconosciuta nella sua vera identità e questo le permette di riconoscere a sua volta il Cristo. Ci si riconosce dentro una relazione d’amore. L’amore di Maria trova corrispondenza nell’amore di Gesù. Lei che cerca con passione, a sua volta è cercata dal suo Signore. Lei che piange, è vista dall’amato.
Il Dio di Gesù accompagna i nostri passi, rispetta i nostri tempi, ama il nostro cercare, ci permette di attraversare il buio con Lui, di superare la rassegnazione. Ma anche per noi, come per Maria, è necessario il movimento del voltarsi, cioè cambiare sguardo, mentalità, atteggiamento, lasciandoci trasformare nel cuore. Solo facendo spazio allo Spirito in noi possiamo vedere il Risorto e udirne la voce che ci chiama.
Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre mio» (Gv 20,17).
Queste parole ci fanno intuire che Maria ha bisogno dell’abbraccio di Gesù e vorrebbe trattenerlo. Ella ora deve compiere un cammino di conversione: il corpo di Gesù ha una luce nuova, è capace di indicare l’oltre. La Pasqua di Gesù è anche la Pasqua di Maria.
Ora il suo pianto è trasformato in danza perché vive unita al suo Signore. Nulla la potrà separare da quell’amore che la morte non ha potuto trattenere. Maria sa che continuerà quella relazione ed è a motivo della stessa che le viene chiesto di diventare “apostola” per annunciare ai discepoli ciò che ha visto e udito. Maria riceve il compito di un messaggio da portare ai fratelli, un messaggio carico di speranza, che nasce dall’esperienza personale dell’incontro con il Risorto, il Vivente.
Come Maria, è impegno nostro e di tutti i battezzati annunciare il Risorto, la gioia del Vangelo che può riempire il cuore di ogni donna, di ogni uomo. Siamo sollecitati anche noi ad essere perseveranti nella ricerca del Signore, a non rimanere statici e rassegnati, ma a reagire con resilienza di fronte alle vicende storiche che ci incutono paura e vogliono rubarci la speranza.
Nel silenzio del cuore, all’alba di un nuovo giorno, ci siano date la luce del Risorto e il fuoco del suo Spirito per essere spinti a camminare in una vita nuova, a vivere il rischio dell’amore e spargere semi di Risurrezione.