di Giorgio Scatto

Mentre scrivo queste semplici note, due sorelle della mia comunità sono salite a Monte Sole, nel territorio del comune di Marzabotto, dove sorge il monastero fondato da don Giuseppe Dossetti, per alcuni giorni di preghiera e di ritiro. Monte Sole è un luogo della memoria; non solo perché lì è sepolto questo grande profeta di pace, uno dei padri della nostra Carta Costituzionale,

protagonista al Concilio Vaticano II, accanto al suo vescovo, il card. Lercaro, ma soprattutto perché proprio lì le orde naziste, ormai in ritirata, hanno compiuto una delle stragi più efferate, ammassando nel piccolo cimitero di montagna centinaia di persone, donne, bambini, anziani e trucidandole con colpi di mitraglia e finendole con il lancio di bombe a mano.
Anch'io salgo sovente in questi luoghi, perché non si può vivere senza memoria. Non c'è futuro di libertà per un popolo se non sa raccogliersi attorno alle proprie radici, spesso irrorate dal sangue dei martiri.

Il mese di agosto, che sta finendo, è stato segnato da altre importanti memorie. Ne segnalo soltanto due: la strage fascista alla stazione di Bologna, il 2 agosto 1980, e la prima bomba atomica americana sganciata su Hiroshima il 6 agosto 1945. Non ricordare significa vivere come degli alieni, prigionieri di passeggere emozioni e di ingannevoli desideri. «La memoria è la componente essenziale per l'identità dell'individuo e per la sua integrazione nella società... Intaccare e attentare alla memoria di un individuo come di un gruppo e di tutto un popolo significa attentare alle sue radici, mettere a repentaglio la sua vita, le basi della sua identità, l'orientamento esistenziale, la comunità, la capacità di fare storia» (F. Ferrarotti, Il silenzio della parola. Tradizione e memoria in un mondo smemorato, Dedalo, Bari, 2003, p. 60). Noi siamo la nostra memoria. Occorre fare memoria del passato per costruire il futuro, in un consapevole radicamento nel tempo presente.

Queste sono anche le tre dimensioni fondamentali che segnano l'intera storia biblica: la memoria delle grandi gesta del passato (anàmnesis); la grazia da vivere nel tempo presente (kairòs); il compimento della storia nel futuro di Dio (éskaton).

Desidero soffermarmi per un momento solo sul primo aspetto, che riguarda la memoria.  
Ero molto piccolo quando scoprii il diario della guerra e della prigionia di mio padre, negli anni che vanno dal 1939 al 1945. Al termine della lettura scoppiai in un pianto dirotto, perché avevo scoperto un periodo della vita di mio papà che mi era sconosciuto, un tempo molto brutto, segnato da pericoli, fame, morte, un tempo durante il quale mio padre si era sempre consegnato all'aiuto di Dio, con tutte le sue forze. Quelle pagine di diario, gelosamente conservate, sono diventate un patrimonio storico, spirituale e morale dell'intera mia famiglia, una scuola di vita che resterà per sempre.

Così è la memoria biblica: essa ha molti modi di prolungare nel presente l'efficacia del passato. 
La notte dell'esodo il Signore disse a Mosè e Aronne, in terra d'Egitto, dopo aver dato le istruzioni per la cena pasquale: «Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14). Come a dire che occorre sempre ricordare che Dio non sta dalla parte del faraone; che non è impassibile nell'alto dei cieli e invece prende parte alla sofferenza dei popoli; non vuole un mondo dove l'uomo è ridotto in schiavitù, e combatte assieme a lui per la sua liberazione. Anzi, lui stesso è la forza che libera: «Io sono colui che fa esistere, che dà senso e vigore alla vita» (cf. Es 3,14).

L'uomo che dimentica diventa ben presto un docile burattino nelle mani di abili registi che muovono i fili del teatro, sulla scena del mondo globale. Dimenticare è come recitare senza forza un copione scritto da altri per noi, rinunciare a scrivere noi stessi il dramma, la commedia, la realtà epica e drammatica della vita. Non siamo chiamati a essere semplicemente attori, ma autori e protagonisti di storie inedite, perché la memoria non ti trattiene nel passato, ma ti getta responsabilmente e audacemente nel futuro.
«Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi» (Deut 8,2). Così il Signore ammonisce il suo popolo, prima dell'entrata nella Terra promessa.

Scrive mio padre, al termine del suo diario: «Il giorno 5 febbraio i russi conquistarono il paese. Una pattuglia di soldati russi venne nella baracca e ci hanno portati via che ancora la battaglia infuocava. Per un mese ho sempre camminato, abbiamo fatto quasi 500 kilometri a piedi, e anche questa volta il Signore mi ha salvato la vita, dopo essere stato per quattro giorni costantemente in mezzo al fuoco». Mio padre è un grande uomo, perché ha saputo fare memoria di una storia di dolore e di sofferenza, e l'ha consegnata, se pur pudicamente e in silenzio, ai suoi figli.

Ricordare, perché non ci siano mai più guerre.
Ricordare perché il cammino dell'uomo lo conduca a cercare il volto del fratello.
Ricordare, nella storia biblica come anche nella storia di tutti, aiuta a custodire una memoria, a continuare a invocare il Nome, per chi crede, o a chiamare in aiuto una Madre, per chi sente che la vita l'ha ricevuta in dono.
Ricordare contribuisce a rinnovare un'alleanza riconoscente, e dilatare gli spazi del rendimento di grazie.
Ricordare è irrobustire le fondamenta della nostra umanità.