di Giannino Piana

Che cosa pensi dei risultati dell’indagine svolta in Francia in merito agli abusi sessuali di sacerdoti e operatori pastorali? È stata una sorpresa inaspettata? Ed è stato positivo avviare l’indagine e pubblicarne le conclusioni?

I risultati dell’indagine sono, a dir poco, sconcertanti. Oltre trecentomila bambini e adolescenti abusati sono un dato, che non può che suscitare forti e sdegnate reazioni. La violenza consumata nei loro confronti è un atto gravissimo, destinato a lasciare pesanti conseguenze sulla loro intera vita futura.

Non ci si libera facilmente, nonostante la psicoterapia (laddove è possibile sottoporvisi), da esperienze tanto traumatiche. Bene ha fatto la chiesa francese, peraltro sollecitata anche dalle indicazioni di papa Francesco, ad assegnare l’inchiesta a una società specializzata e a rendere pubblici i risultati. Penso che anche per i vescovi francesi – lo ha lasciato intendere il Presidente della Conferenza episcopale – abbia costituto una vera sorpresa la constatazione dell’entità del fenomeno, e che questo renda meritorio il coraggio di averne pubblicizzato le conclusioni.

Quali insegnamenti si possono trarre da tale situazione? Quali le cause che l’hanno prodotta?

È evidente che questa situazione faccia emergere una serie di gravi carenze legate agli orientamenti sviluppati nell’ambito della formazione sacerdotale del passato. A dover essere sottoposti ad attenta disamina sono anzitutto i criteri mediante i quali avveniva (e qualche volta tuttora avviene) la selezione dei candidati. Più che la maturità umana a contare erano certe forme di devozionalismo e la disponibilità a un’obbedienza incondizionata agli imperativi dei superiori. Ma la carenza più rilevante è ascrivibile ai contenuti dell’iter formativo, fissato peraltro dagli orientamenti dettati dal Concilio di Trento, che rivestiva il sacerdote di una particolare sacralità e si premurava, di conseguenza, di segnarne la diversità e la separazione dal resto dell’umanità. Sono molti gli elementi che davano concretezza a questa visione e che meriterebbero di essere fatti oggetto di un’attenta considerazione. Mi limito a segnalarne alcuni che ritengo personalmente più significativi: dalla repressione della sessualità, considerata come il peccato per antonomasia, al rifiuto di ogni forma di contatto con il mondo femminile – la donna veniva sostanzialmente demonizzata –; dall’assenza della valorizzazione delle risorse umane di ciascuno alla mancata proposta di un corretto sviluppo delle relazioni umane; dall’offerta di una concezione dogmatica della verità cristiana in tutte le sue espressioni, fino all’assunzione del modello monastico di spiritualità, con disattenzione alla vita pastorale cui il prete è chiamato e dalla quale e nella quale deve trovare ispirazione anche la sua vita spirituale. Tutto questo spiega, da un lato, come venissero ammessi all’ordinazione sacerdotale anche soggetti psicologicamente fragili o segnati da vere e proprie patologie; e, dall’altro, come queste ultime venissero consolidate dal sistema educativo con l’emergere a distanza di tendenze negative tra le quali la più grave è quella della pedofilia.

A tuo avviso la situazione è oggi cambiata? E che cosa occorre fare perché non si ripetano episodi di enormi gravità come quelli registrati dall’inchiesta francese?

Esistono senza dubbio oggi importanti segnali di cambiamento. La scomparsa quasi totale dei seminari minori con l’accesso al seminario per gli studi teologici di persone adulte e i nuovi indirizzi forniti dal Vaticano II per la formazione sacerdotale hanno dato il via a un processo di rinnovamento che non può essere misconosciuto. Le direttive della Congregazione vaticana per l’educazione cattolica e gli orientamenti offerti a partire dall’immediato post-concilio dalla Conferenza episcopale italiana (ma anche da molte altre) vanno in direzione opposta rispetto al passato. A essere considerati come fattori imprescindibili di valutazione per l’accesso al sacerdozio sono la maturità umana e lo spirito di servizio; mentre, nello stesso tempo, gli studi teologici hanno acquisito un taglio meno rigidamente dogmatico e più attento al dialogo con le correnti filosofiche e culturali del nostro tempo. Questo non significa che non sussista più alcun problema. Ne ricordo tra i molti uno che ritengo di particolare rilevanza, quello del celibato obbligatorio. Ora, al di là del fatto che è la sola chiesa latina occidentale a conservare tale prassi – le altre chiese cristiane, compresa la chiesa cattolica di Oriente, non hanno tale disciplina – non si può non considerare tale obbligatorietà come un ostacolo a una libera scelta del ministero con conseguenze negative in molti casi sul suo esercizio. D’altrove, trattandosi di un ministero (e non di uno stato di vita) non si vede come non possa comporsi con i due stati di vita: matrimonio e verginità.  
                         

Tornando alla questione della pedofilia, che cosa pensi degli interventi di papa Francesco? C’è davvero una volontà di fare chiarezza? Che seguito tali interventi hanno avuto nella chiesa? E come giudicare il comportamento della chiesa italiana?

Concordo pienamente con la posizione assunta da papa Francesco. La sua, oltre a essere un’operazione di verità e di trasparenza, è soprattutto un atto di giustizia nei confronti delle vittime. Reati come quelli consumati da membri del clero o da persone a loro vicine in diverse nazioni del mondo (e non tutto è venuto allo scoperto) esigono di essere denunciati senza reticenze, affidando la comminazione delle pene alla giustizia civile. In verità, una svolta nella direzione perseguita da papa Francesco era già avvenuta sotto il pontificato di papa Benedetto XVI, che aveva, fin dall’inizio, ripetutamente denunciato il “marciume” presente nella chiesa, rompendo con il muro di  silenzio, secondo alcuni persino di colpevole copertura, di papa Giovanni Paolo II – si pensi al caso Macian, il fondatore della congregazione dei legionari di Cristo il cui vergognoso comportamento era da tempo noto – e assumendo i primi provvedimenti al riguardo. Quale seguito abbia avuto la volontà di fare chiarezza e di rendere giustizia di papa Francesco è difficile valutarlo. Qualcosa senza dubbio si è mosso. Diverse sono le conferenze episcopali che hanno in questi anni messo in atto inchieste in questo campo con esiti sconvolgenti. Quanto alla Conferenza episcopale italiana quello che finora si è verificato è ancora troppo poco. È auspicabile che segua l’esempio della Conferenza francese, portando alla luce del sole, in tutta la sua consistenza, un fenomeno di enorme gravità come quello della pedofilia. La mancanza di coraggio nel “fare la verità”, oltre a rappresentare un imperdonabile peccato di omissione, è destinata a rendere ancor meno credibile la presenza della chiesa sul territorio della nostra nazione.

Un’ultima domanda. Al di là dei giusti provvedimenti assunti da papa Francesco e messi in atto in diverse chiese locali, come vanno trattate le persone che si sono macchiate di comportamenti tanto infami?

Credo che si tratti di distinguere il comportamento di tali persone che va non solo condannato ma fatto oggetto anche di una seria azione penale, dal giudizio sulla persona dal quale è sempre doveroso astenersi e nei confronti della quale non può mancare l’esercizio della misericordia. Non si deve, infatti, dimenticare che si tratta spesso di soggetti con tratti decisamente patologici, in qualche caso anche per aver subito nell’infanzia o nell’adolescenza esperienze analoghe, e che esiste, accanto alla loro responsabilità personale, una responsabilità dell’istituzione nell’aver contribuito a consolidare le patologie rilevate.