di Enzo Pace  

Immaginiamo di avere davanti agli occhi una mappa del Veneto con diverse bandierine colorate. Ciascuna ci segnala la presenza di un luogo di culto. A ogni colore corrisponde una religione. A prima vista la nostra retina sarebbe colpita dalla densità delle bandierine bianche che ci indicano, per tradizione, la diffusa presenza del cattolicesimo. Ancora oggi, infatti, su una superficie di 18.345 chilometri quadrati, su cui risiedono quasi cinque milioni di persone, le parrocchie sono 2.144.

Se a questa cifra, lasciando da parte le tante cappelle votive e i capitelli[1] sparsi in tutto il territorio, aggiungiamo popolari santuari (più di ottanta), le grandi abbazie benedettine, gli storici conventi francescani, i molti monasteri femminili, oltre agli eremi (più di venti) sparsi fra i Colli Berici e quelli Euganei, fra il Monte Baldo, il lago di Garda e le colline di Vittorio Veneto, il paesaggio religioso è ancora densamente segnato dalla presenza cattolica. Se confrontiamo questo dato complessivo con altre bandierine di differente colore, l’immagine, a prima vista, che ne ricaviamo è di un’evidente sproporzione di forze in campo.
In rapida rassegna, ci sono oggi 119 centri di preghiera musulmani e 50 parrocchie ortodosse. Queste ultime sono in gran parte ospitate in chiese cattoliche offerte dai vescovi in comodato. I primi luoghi di culto delle chiese ortodosse, interamente finanziati dalle rispettive comunità, sono stati inaugurati solo di recente, rispettivamente a Verona, Abano Terme e Zelarino. In fase ancora di progetto ci sarebbe la costruzione di una grande chiesa ortodossa russo-moldava a Padova.
Esistono poi 15 centri di meditazione buddista, 5 templi sikh (in Italia sono 42), più un numero difficilmente calcolabile di piccole comunità di cristiani africani, latino-americani, cinesi e tamil dello Sri Lanka. Alcune fanno riferimento a grandi chiese evangeliche di Paesi come il Ghana o la Nigeria oppure di Regioni come Wenzhou in Cina[2].

Un ampliamento della tradizionale gamma di colori che aveva caratterizzato stabilmente, anche se impercettibilmente la mappa socio-religiosa del Veneto, dove minoranze storiche sono presenti da vari secoli, come quella ebraica[3] o come quella rappresentata dalla Chiesa Valdese e metodista. Sulla nostra ideale mappa dei luoghi di culto tali minoranze sono presenti rispettivamente con quattro sinagoghe concentrate fra Venezia e Padova, quattro chiese Valdesi e Metodiste, due chiese Luterane, otto della Chiesa dei Fratelli, tre degli Avventisti del settimo giorno, ventisei Sale del Regno dei Testimoni di Geova, venticinque congregazioni pentecostali delle Assemblee di Dio, tre templi della Chiesa dei Mormoni e due Chiese evangeliche battiste. Presi tutti assieme, questi luoghi di culto superano di poco le 200 unità.
Le scarne cifre sopra riportate indicano un cambiamento in corso. Esso può essere descritto come il passaggio da una società a monopolio religioso a una nuova caratterizzata da elevata diversità religiosa. Quest’ultima è dovuta in gran parte a cause esogene, legate ai flussi migratori che, dagli inizi degli anni Ottanta del secolo appena trascorso a oggi, hanno interessato la Regione veneta.
Nel 2021, in Veneto i residenti di origine straniera erano 509.420, pari al 10,5% della popolazione totale, con un leggero incremento rispetto all’anno precedente (485.962, pari al 10,0%). Queste persone provengono da 171 diverse nazioni. Tutti i continenti sono rappresentati: rispettivamente, 43 Paesi europei (di cui 11 non inclusi nell’Unione Europea); 51 nazioni africane (dal Nord al Sud, quasi tutti presenti); 41 dell’Asia e 27 dell’America-Latina (anche in tal caso quasi tutti presenti); infine, anche l’Oceania è rappresentata da sette diverse nazionalità[4].
Sono arrivate tante braccia, per parafrasare Max Frisch[5], abbiamo imparato a capire che sono giunte persone, ciascuna - posso aggiungere - con una propria anima. Tante diverse fedi religiose per una terra, come quella veneta, avvezza a rappresentarsi come omogeneamente cattolica, anzi, secondo uno stereotipo che è durato a lungo nella stampa e nella polemica politica, sagrestia d’Italia, regione bianca, un popolo fedelmente adunato attorno ai tanti campanili delle campagne e delle città.

La diversità delle diversità religiose[6], dovuto a cause esogene, si è sovrapposto a un mutamento che la società veneta ha conosciuto, dal punto di vista religioso, prima dei flussi migratori e che è ha avuto inizio con la grande trasformazione socioeconomica, che ha interessato tutta la Regione veneta dal 1970 in poi. C’è stato un graduale allentamento progressivo del legame fra credere e appartenere alla Chiesa cattolica. La diffusa conformità nelle pratiche e negli atteggiamenti di fede, che caratterizzava il “popolo” veneto, si è lentamente liquefatta in una discreta differenziazione di atteggiamenti e comportamenti in campo religioso. Se nel 1950-60 il 98% dei veneti non aveva dubbi nel dichiararsi cattolico[7], oggi tale percentuale è scesa al 74%[8]. Si nasce ancora cattolici in grande maggioranza, dunque, ma un singolare pluralismo interno caratterizza l’essere cattolici in Veneto. Sono meno di due su dieci i veneti che rientrano nella categoria dei “cattolici senza riserve”, che aderiscono pienamente ai principi e alle pratiche di culto. Più di tre persone su dieci, infatti, pur dichiarandosi cattoliche, esprimono riserve più o meno ampie o sulla dottrina o sul sentimento di appartenenza alla Chiesa. Quasi un altro terzo della popolazione, infine, può essere ricompreso nel profilo del “credente in autonomia”. In tale categoria, in realtà, possono ritrovarsi persone che, pur riconoscendo il debito di socializzazione culturale contratto con il cattolicesimo - la religione di nascita - credono senza più riconoscersi nella Chiesa oppure si autorappresentano come persone interessate alla spiritualità ma non più alla religione (di chiesa).
Le differenziazioni appena ricordate si accentuano fra le coorti delle nuove generazioni. Prendiamo in considerazione, ad esempio, la frequenza alla messa domenicale, che è stata non solo osservanza di un precetto religioso, ma anche rito sociale. Nel 2018, a fronte di una fedeltà ancora elevata fra le fasce della popolazione adulta (45-59 anni: 27,3%) e anziana (60-74 anni: 48,1%), la frequenza alla messa scende al 13,4% fra i giovani di età compresa 18-29 anni. Fra questi ultimi aumenta la quota di quanti si dichiarano non credenti (16,5%) rispetto ai loro padri e nonni nettamente più credenti. Solo il 6,6% delle coorti più giovani della popolazione dice di sentirsi parte della Chiesa cattolica contro il 34% delle persone anziane.

Se il cattolicesimo sembra essere ancora il basso continuo che accompagna i ritmi della vita individuale e sociale, altre voci e altre armonie cominciano a farsi sentire. Fuori di metafora, incrociando l’andamento della curva demografica, il dinamismo economico che caratterizza il Veneto, anche nei momenti critici, il graduale assottigliarsi del numero del clero, dei religiosi e delle religiose, che a tempo pieno hanno assicurato sino a un recente passato, il funzionamento capillare della cura d’anime e di servizi sociali fondamentali (socializzazione delle nuove generazioni, assistenza, aggregazione nel tempo libero e così via), si può prevedere che la diversità delle diversità religiose diventerà sempre più visibile. Nelle religioni “l’occhio vuole la sua parte”. Sinora la diversità non è ancora visibile e, perciò, sembra ancora impensabile (alla mentalità collettiva). Abituarsi sin d’ora a vederla e riconoscerla è un esercizio raccomandabile di virtù civica.

[1] Un censimento locale è stato fatto da A. Gambasin e G. Franceschetto, I capitelli di Cittadella e Camposampiero, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 1972 e da A. Lazzaretto, E. Reato (a cura di), I capitelli e la società religiosa veneta, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 1979. 
[2] Dati sull’islam tratti da E. Pace (a cura di), Le religioni nell’Italia che cambia, Roma, Carocci 2013 e da G. Giordan, M. Guglielmi, Be Fruitful and Multiply…Fast! The Spread of Orthodox Churches in Italy, in C. Monnot, J. Stolz (eds.), Congregations in Europe, Cham, Srpinger 2018, pp. 53-70.
[3] Cfr. a tal proposito F. Jori, 1516: il primo Ghetto, Pordenone, Ed. Biblioteca dell’Immagine 2016.
[4] Fonte: Regione Veneto, Statistiche Demografiche (https://www.tuttitalia.it/veneto/statistiche/cittadini-stranieri-2021/).
[5] Max Frisch, architetto e scrittore svizzero (Zurigo, 1911-1991), scrisse la prefazione al libro curato da A.J. Seiler, Siamo Italiani. Die Italiener. Gespräche mitt Italianischer Gastarbeiten, Zürich, EVZ 1965, da cui è tratta la celebre frase: “abbiamo voluto braccia, sono arrivati uomini”, che si i riferisce alla condizione degli italiani emigrati in Svizzera nel secondo dopoguerra.
[6] Su questa nozione rinvio a E. Pace, Diversità e pluralismo religioso, Rimini, Pazzini 2021.
[7] Cfr. I. Diamanti, P. Allum, ‘50/’80, vent’anni. Due generazioni di giovani a confronto, Roma, Ed. Lavoro 1986 e I. Diamanti, E. Pace (a cura di), Tra religione e organizzazione, Padova, Liviana 1987.
[8] Cfr. A. Castegnaro, C’è campo?, Venezia, Marcianum Press 2010.