Per ricordare il teologo svizzero Hans Küng, morto il 6 aprile, pubblichiamo l'articolo di Brunetto Salvarani in Avvenire del 7 aprile 2021.

Addio ad Hans Küng, voce critica nella Chiesa

La popolarità di Hans Küng – morto ieri a Tubinga dopo una lunga malattia affrontata con estrema dignità – è difficilmente sottovalutabile.
Come teologo, con i suoi insegnamenti, i suoi numerosi (e importanti) libri, la sua presenza anche a livello pubblicistico, egli ha segnato, nelle sue alterne vicende, un’epoca decisiva della storia della Chiesa cattolica, a partire dal Vaticano II fino ai nostri giorni.

L’ha fatto toccando spesso temi delicati e controversi, che gli hanno guadagnato la fama di pensatore controcorrente e costantemente scomodo; sino a renderlo l’icona della teologia progressista, co-protagonista persino di storielle buffe che lo accostavano, di volta in volta, a papa Giovanni Paolo II e al suo amico-rivale di sempre, non ancora assurto al soglio pontificio, Joseph Ratzinger.
Per l’opinione pubblica, da decenni, è stato conosciuto – con suo sincero rammarico – soprattutto come il teologo che critica la Chiesa. Per sua stessa ammissione, infatti, non sopportava di essere «sempre chiamato critico della Chiesa o del papa». Nato nel 1928 a Sursee, nel cantone svizzero di Lucerna, Küng aveva studiato a Roma in Gregoriana, dove conseguì la licenza sia in filosofia sia in teologia. Ordinato presbitero nel 1954, era poi passato a Parigi, fra la Sorbona e l’Institut Catholique, dove si laureò in teologia con una tesi su La giustificazione, che – divenuto il suo primo volume di successo – si collocava da subito sulla linea di un dialogo necessario fra teologie di diverse confessioni cristiane, destinata immediatamente a far discutere. Come capiterà regolarmente ai suoi lavori. Non ancora trentenne, nel gennaio 1957 riceve al riguardo una lettera indirizzatagli da Karl Barth, vale a dire dal monumento indiscusso della teologia protestante novecentesca, in cui può leggere parole del seguente tenore: «Trattando un argomento fondamentale come la dottrina della giustificazione, Lei ha compiuto un progresso importante. Ma non si accontenti della realizzazione iniziale di tale ricerca… Per il resto: Veni sancte Spiritus! E ora, avanti come Dio comanda!». Una benedizione inattesa quanto autorevole, in cui Barth fra l’altro salutava il testo di quel suo giovane connazionale come «un sintomo chiaro che il diluvio dei tempi nei quali i teologi cattolici e protestanti non volevano parlarsi se non in modo polemico, o con pacifismo disimpegnato, non è certo scomparso, ma sta scomparendo». Si badi: stiamo parlando della stagione preconciliare, non ancora segnata dalle aperture di Giovanni XXIII. Il papa che, già nel 1962, lo nominerà perito conciliare: è in quell’occasione che conosce Ratzinger, più anziano di lui di un anno, presente al concilio come teologo consigliere dell’arcivescovo di Colonia.
Nel frattempo, nel ’60, appena trentaduenne, Küng diventa professore ordinario presso la Facoltà di teologia cattolica dell’Università di Tubinga, in Germania, dove fonda tra l’altro l’Istituto di ricerca ecumenica. È per lui la fase della ricerca ecclesiologica, a partire da Riforma della Chiesa e unità dei cristiani (1960) fino a Fallibile? Un bilancio (1973), che ha il suo momento più espressivo in La Chiesa (1967) e il passaggio più polemico in Infallibile? Una domanda (1970). Opere, tutte, in cui egli pratica il metodo ecumenico che lo caratterizzerà fino all’ultimo. Metodo che consiste nel rifarsi al messaggio cristiano originario, ricostruito criticamente sulla base dei principali studi esegetici, all’unica tradizione cristiana, cioè dire il vangelo di Gesù Cristo, che solo misura e giudica la tradizione ecclesiastica e le confessioni cristiane. Il che spiega il motivo per cui egli, ormai teologo maturo, scelga di passare dall’impronta ecclesiologica degli esordi a una rivisitazione e revisione critica in prospettiva ecumenica di temi classici di teologia sistematica, ripensando di volta in volta la cristologia con Essere cristiani (1974), la questione di Dio in Dio esiste? (1978) e l’escatologia in Vita eterna? (1982).
In Essere cristiani sottolinea fortemente la dimensione umana di Gesù, cosa che gli frutta il rimprovero di mettere in questione la divinità di Gesù: insieme a una rinnovata problematizzazione dell’infallibilità papale in altre sue pubblicazioni e a una serie di affermazioni sulla nascita verginale e l’eucaristia gli causa inoltre, nel 1979, il ritiro della licenza di insegnamento della Chiesa, da parte della Santa Sede. In merito, l’allora professore di dogmatica di Friburgo (e futuro cardinale) Karl Lehmann parlerà di «una giornata tremendamente nera» per la teologia. Eppure, al contrario di altri teologi bersaglio dell’ex Santo Uffizio che lasciarono il presbiterato o addirittura la Chiesa, Küng scelse di rimanere quello che era: un prete cattolico e un professore di teologia, sia pure senza licenza di insegnamento. E continuò a considerarsi un «teologo leale», anche se non tutti, nella Chiesa, si ritrovarono in quella valutazione. Da parte sua, in ogni caso, decise di proseguire la sua inesausta ricerca intellettuale, allargando il campo d’azione dal dialogo interconfessionale a quello interreligioso, dall’ecumenismo ad intra centrato sugli effetti delle storiche fratture della cristianità a un ecumenismo ad extra, rivolto all’intero pianeta abitato, ivi compresa un’inedita comunione fra le grandi religioni (testimoniata da lavori come Cristianesimo e religioni universali, del 1984, e Cristianesimo e religiosità cinese, del 1988). Fino ad approdare all’ambizioso Progetto per un ethos mondiale (1990), scritto programmatico per un’articolata elaborazione di una teologia ecumenica per la pace, basato su una tesi destinata a divenire famosa anche al di fuori dei circuiti teologici: «Non vi può essere convivenza umana senza un ethos mondiale delle nazioni; non vi può essere pace tra le nazioni senza pace tra le religioni; non vi può essere pace tra le religioni se non c’è dialogo tra le religioni». In altri termini: la teologia non può che essere al servizio dell’umanità; ma una teologia al servizio dell’umanità è chiamata a porsi al servizio dell’intesa e della collaborazione tra le religioni, favorendo e praticando il dialogo interreligioso in vista della fondazione di un ethos mondiale (ne nacque, nel ’93, la Fondazione Weltethos, tutt’ora molto attiva).
Il Progetto di Küng rappresentò, fra l’altro, il punto di riferimento basilare per la Dichiarazione del Parlamento delle religioni mondiali di Chicago, nel 1993, assumendo così un alto valore religioso, sottoscritta dal cardinale di Chicago, dal Dalai Lama e dal Consiglio ecumenico delle chiese. Nel settembre 2005, come a dimostrare che i cammini divergenti erano motivati da uno stesso desiderio di verità, avviene un noto incontro con Benedetto XVI – uno spirito di amicizia confermato dalla lettera che il Papa emerito gli inviò in occasione del 88° compleanno e che si apriva con l’espressione “Caro confratello”. Nel 2014 dà alle stampe Una battaglia lunga una vita. Idee, passioni, speranze. Il mio racconto del secolo, la sua corposa autobiografia, in cui ripercorre un’intera esistenza di amore per la Chiesa. Intanto, poco tempo dopo l’elezione di papa Francesco, il teologo svizzero gli scrive una lettera e, con sua grande gioia, riceve una riposta «manoscritta e fraterna». Una corrispondenza con la quale, avrà a dire, si considerò «quasi informalmente riabilitato». Beninteso: se mai ce ne fosse stato bisogno.