Riprendiamo l'articolo di Michela Marzanopubblicato il 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro donne, in "La Stampa"del 25 novembre 2022.

Se è geloso, mi ama". Quando la violenza nasce dal linguaggio 

«Uomo violento cosa fare», «come comportarsi con uomo violento», «mio marito ha scatti d'ira». Nel corso dell'ultimo anno, in Italia, frasi come queste sono state oggetto di ricerca su Google decine di migliaia di volte. Nonostante gli sforzi fatti per contrastare le violenze di genere attraverso le più disparate norme e iniziative, d'altronde, sono ancora tantissime le donne e le ragazze che non sanno come orientarsi, come agire, talvolta persino cosa pensare esattamente quando si sentono in pericolo.

Forse anche perché la consapevolezza della violenza subita arriva troppo tardi e, quando si decide di reagire, si è già prigionieri di un cortocircuito infernale, quello che porta a credere di essere responsabili di ciò che si sta attraversando.

La violenza è bastarda: si insinua nell'esistenza delle donne distruggendole dall'interno, cancellandone l'identità e riducendo a brandelli quel po' di fiducia che ancora hanno in loro stesse. Quando ormai la si percepisce, ha già agito; ha già fatto tabula rasa.

La violenza non è solo fisica. Cioè. Lo diventa; prima o dopo, la violenza si manifesta in tutto il suo orrore, lasciando tracce che nessuno può più far finta di non vedere: lividi, ossa rotte, sangue, cadaveri. Ma lei c'era già prima. Fatta di parole scagliate come pietre e di controllo; impastata di suppliche, minacce, e sguardi di commiserazione: hai visto come ti sei ridotta? E allora è facile convincersi che sia lui ad aver ragione, che siamo noi a non valere nulla, e che è peggio per noi se è andata così, tanto cosa mai ci saremmo potute meritare? Come se l'esistenza avesse bisogno di una giustificazione, e il valore di una donna dipendesse sempre e solo da come gli altri si comportano con lei.

La violenza è bastarda, dicevo. Avanza mascherata e, quasi sempre, si cela dietro frasi piene di buoni propositi e lodevoli intenzioni. Se è geloso, mi ama. Se urla, mi ama. Se mi corregge, mi ama. Quante volte ce lo siamo sentite ripetere o ce lo siamo noi stesse ripetuto? Mentre l'amore, con la gelosia e con le urla, non c'entra niente. Esattamente come non c'entra con i rimproveri e con le umiliazioni, con tutte quelle giustificazioni inutili e assurde: lo faccio per il tuo bene. Quale bene può mai esserci quando qualcuno pretende di sapere meglio di noi, e al posto nostro, quello che dobbiamo (o meno) fare? In nome di quale bene un padre, un fratello, un fidanzato o un marito, osano prendere decisioni al posto nostro e vogliono imporci la loro volontà? Dicono: lo faccio per te. Dicono: un giorno me ne sarai grata. Dicono: ringrazia il cielo di aver trovato uno come me che ti sopporta. Dicono: smettila di lamentarti, pensa a tutte coloro che vorrebbero trovarsi al posto tuo. Ma le parole non sono solo «cuscini» dove appoggiare il capo per alleviare il dolore, come scriveva James Hillman. Spesse volte, le parole separano ed escludono, tolgono e mentono. E gli uomini violenti, che quasi sempre sono perversi e narcisi e manipolatori, lo sanno perfettamente che ci sono frasi che ammazzano prima ancora di aver sollevato la mano contro la propria donna.

C'è chi, in occasione dell'anniversario della nascita del movimento #MeToo, ha cercato di mettere in discussione la nozione di «continuum», ossia l'idea secondo cui il femminicidio rappresenterebbe il polo estremo di uno spettro che include un'ampia varietà di abusi fisici, sessuali, psicologici e verbali. C'è chi ha insistito sull'inutilità del concetto di «cultura dello stupro», sostenendo che, se tutto è violenza, allora si corre il rischio di non riconoscere più la «violenza vera»; esattamente come ci sarebbe il pericolo di banalizzare lo stupro, chiamando «stupro» ogni atto sessuale cui non si sia esplicitamente acconsentito. C'è persino chi ha parlato di «isteria femminista», puntando il dito contro questa mania tutta contemporanea di esacerbare il rapporto tra i sessi, rendendolo di fatto impossibile.

Una follia, mi viene da commentare. Visto che il perpetuarsi inesorabile delle violenze contro le donne affonda le radici in quell'ostinata voglia di non vedere che le violenze estreme sono il proseguimento delle violenze quotidiane; e che è sempre a partire dal momento in cui ci si permette di dire a una ragazzina «stai zitta» o «non capisci nulla» che le si impedisce di avere accesso alla consapevolezza del proprio valore, e quindi alla fiducia in sé stessa, e quindi a quelle risorse interne necessarie per rifiutare abusi e umiliazioni. Per non parlare poi delle violenze sessuali, la cui rappresentazione stereotipata impedisce a tante donne di ammettere di essere state abusate, portandosi dentro la colpa di essere state in qualche modo all'origine dell'irrefrenabile desiderio maschile di possederle.

Una follia, dicevo. Perché poi, purtroppo, sono sempre le donne a pagare sulla propria pelle le querelle ideologiche e i distinguo intellettuali. E finché ci sarà chi si arrogherà il diritto di decidere chi è (o meno) vittima, le vittime di violenze non saranno protette, i colpevoli continueranno a delinquere, e la grammatica delle relazioni affettive non verrà riscritta. Nonostante sia proprio questa erronea grammatica a legittimare i rapporti tossici e a discolpare le famiglie disfunzionali.