di  Marco Campedelli (Narratore, Teologo)
Ho sognato una notte: tutte le porte delle chiese erano chiuse. Sbarrate. In Irlanda, in Germania, negli Stati Uniti, in Messico, in Cile... Chiuse le chiese in Francia. E perfino in Italia. Sulle porte era scritto “Chiuso”. Non era un provvedimento venuto dall’alto.

Si sarebbero trovate mille ragioni per non farlo. La secolare “prudenza” della Chiesa spesso copre “una moltitudine di peccati”. Era dal basso che era arrivata quella decisone. La gente si rifiutava di andare in chiesa. Non servivano preti a dire messa sui tetti. Non era un problema di pandemia. Era semplicemente un problema di coerenza. Lo disse nel sogno una donna avvolta in uno scialle rosso: “Non si può più toccare il corpo di Cristo, finché si violenteranno i corpi dei bambini”. Mi sono svegliato di soprassalto. Era un sogno. Ma penso che sarebbe importante se questo avvenisse veramente. Non entro nelle riflessioni come quella: “è proprio nei momenti più drammatici che le chiese devono continuare a fare memoria di Cristo”. Certo, è vero. Ma mettere sulle chiese un cartello con scritto “chiuso” sarebbe un atto di coerenza. Non sarebbe tradire la memoria di Gesù di Nazareth, ma esservi invece fedeli.

C’è un altro cartello però che oggi possiamo appendere sul portone di ogni chiesa. La richiesta di una immediata e improrogabile istituzione di una “commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa”. Come Lutero affisse le sue tesi sul portone della cattedrale di Wittenberg, tutti noi dovremmo appendere questo cartello. Non sarebbe un atto di “disobbedienza”, ma un atto di “obbedienza” al vangelo. Sappiamo che obbedire deriva da “ascoltare”: ascoltare la voce delle vittime e la parola del vangelo. La Francia, una delle nazioni più vicine a noi per geografia e per storia, ha fatto questo passo, elaborando un rapporto di 548 pagine (il rapporto Suavè). 216 mila casi di abuso avvenuti tra il 1950 e il 2020 (se ai preti e ai religiosi si aggiungono i collaboratori di oratori e altri, si arriva a 330 mila).

Nella stessa commissione si è parlato di “crimini di massa commessi nella Chiesa”. Non possiamo dimenticare quanto è emerso in Irlanda, in Germania, negli Stati Uniti, in Australia… e quello che sta avvenendo in Polonia (grazie anche al documentario shock “Non dirlo a nessuno”). E in Italia? Non se ne parla. Non se ne vuole parlare. E questa è una “omissione criminale”.

Con una mano si promuovono le giornate contro gli abusi (formalmente), con l’altra mano si insabbiano gli abusi, si proteggono i responsabili dei crimini.

La Chiesa Italiana ha paura perché intravede la catastrofe che l’attende. In nessun posto al mondo come l’Italia ci sono tanti istituti religiosi (Roma caput mundi del cattolicesimo), collegi per preti di tutte le denominazioni. Non è più possibile essere complici di questa omertà di fatto.

Il problema di fondo l’ha messo in evidenza il Cardinale di Monaco Marx. Nella sua lettera di dimissioni a Papa Francesco (che le ha respinte) parla di questa crisi legata agli abusi nella Chiesa come di una crisi SISTEMICA. Su «La Repubblica» era stato tradotto maldestramente “sistematica”. Credo che sia molto diverso. Dire “sistemica” significa che una istituzione come la Chiesa cattolica non è soltanto macchiata da questi crimini ma un è un sistema che produce strutturalmente questi crimini. Ecco perché questi crimini non possono finire se non cambia radicalmente la struttura della Chiesa cattolica. La sacralità della struttura di fatto è il primo elemento che disumanizza la struttura stessa e le conferisce un potere malato e pericoloso. La questione della pedofila nella Chiesa ha una sua connotazione specifica che non dipende in modo diretto da altri aspetti riguardanti la dimensione della sessualità nella Chiesa. Ma non possiamo non considerare che il tema della sessualità nella Chiesa nelle sue diverse espressioni soffre di gravi patologie mai risolte (basterebbe leggere il libro di Drewermann Funzionari di Dio. Psicodramma di un ideale, Edition Raeta, Bolzano, 1995, per rendersene conto).

L’eredità del patriarcato continua a proliferare e a discriminare le donne, perpetrando abusi e violenza. Sarebbe utile pensare a come lo studio e la pratica della Teologia delle Donne e la loro presenza paritaria e attiva in tutti gli ambienti di formazione potrebbe contribuire in modo decisivo al cambiamento di mentalità.

La prima violenza si è fatta su Dio, sul suo corpo, quando si è imposta l’immagine patriarcale e maschilista di Dio, tentando in tutti i modi di ucciderne la dimensione femminile e occultando in modo violento quel Gesù che “era donna nel cuore” (Alda Merini). Oltre all’abuso dei minori non si può tacere l’abuso delle donne nella Chiesa. Lo scenario che sta emergendo dell’abuso delle religiose da parte dei chierici, ad esempio, dà la misura del sistema di violenza e di sopraffazione che può abitare tra le mura dei conventi. E che viene quasi sempre coperto dal silenzio o dall’omertà.

C’è un’idea malata della sessualità, che la Chiesa continua a produrre e consacrare. Non basta dire che il “clericalismo è il cancro della Chiesa”. Sarebbe come dire che l’acqua di un fiume è sporca ma non ci si dedica a bonificare la fonte malata da cui questo fiume nasce. I seminari sono impostati ancora secondo la concezione del Concilio di Trento. Di fatto la formazione dei preti non ha mai abbandonato (nemmeno dopo il Concilio Vaticano II) questa idea sacrale, devota, malata del potere sacrale da una parte e della sessualità fobica dall’altra. Non si può essere formati in un luogo artificiale, che continua a rimanere fuori dal mondo, perché, in definitiva, non si vuole confrontare con il mondo.

Da una parte l’ipertrofia con cui l’Istituzione narra il ruolo del prete e dall’altra il mantenere le persone che si preparano a diventarlo in una perenne immaturità porta ad un corto circuito. Inoltre, tenere le persone in uno stato di dipendenza economica, affettiva, sociale, impedisce di diventare autonomi e responsabili. 

Infatti, creare dipendenza è il modo più pratico per bloccare la libertà personale e sociale. C’è in questo una forma di “ricatto morale” che spesso induce le persone a non agire, dissentire, denunciare. 

L’educazione sentimentale è sostanzialmente tabula rasa nei seminari. Non si formano le persone ad una vita sentimentale sana. Dire che la crisi della Chiesa è “sistemica” significa dire che la Chiesa è responsabile in radice di differenti abusi e patologie perché non ha fatto quello che era necessario per educare nei seminari e negli istituiti religiosi, in modo diverso, le persone.

Al fondo di tutto questo c’è anche una divisione tra la teologia e la formazione. Una cultura teologica sana forma la libertà della coscienza (pensiamo in questo senso alla Teologia che fa da sfondo al Concilio Vaticano II e che si è nutrita del pensiero di grandi teologi come Congar, Rahner, Schillebeekx, Kung...). Spesso la teologia viene marginalizzata per far prevalere nella formazione un impianto astorico, avulso dal mondo, moralistico, pietistico. 

Oppure (si pensi ai Movimenti ecclesiali e ai loro seminari) si propina una teologia malata, retriva, autoritaria.

Il deficit di formazione teologica e culturale è spesso uno dei punti decisivi per la sanità o per la patologia nelle persone. All’amore per lo studio si preferisce l’amore per le divise e gli abiti liturgici. Si preferisce insomma la persona per quello che appare piuttosto che per quello che è. 

Ma c’è una patologia che è grave radice di patologie, che si chiama ipocrisia. È arrivato il tempo che la Chiesa si levi la maschera e si mostri con onestà per quello che è. Per amore del vangelo non si può più giocare a “nascondino”. 

È il tempo, anzi è già scaduto, di AGIRE. E agire dal basso. La Gerarchia spesso ostacola i processi di rinnovamento adducendo che la “Chiesa non è una democrazia”. È una “comunione”, dice. Ma questo non può essere più un alibi perché nella chiesa non si rispettino i “diritti umani”. Il profeta Pedro Casaldáliga diceva, in questo senso, che la “comunione” deve essere più “radicale” della democrazia. Non si può più accettare una Chiesa che predica i Diritti umani al mondo, ma non li rispetta poi e non li promuove al suo interno.

Se è vero che questa tragica questione nella Chiesa è “sistemica” significa che la prima causa che impedisce il cambiamento è la Chiesa stessa.

Nella “Leggenda del Grande Inquisitore” di Dostoevskij, nel suo capolavoro I fratelli Karamazov (l’espressione più sublime dello smascheramento dell’ipocrisia del potere della Chiesa), il Cardinale di Siviglia dice a quel Gesù tornato nel 1500 e per questo fatto arrestare e chiuso in prigione: “Perché sei tornato? Sei venuto a rovinarci?”. Ecco perché unendoci alle diverse Associazioni, che in questi mesi l’hanno chiesto, ci rivolgiamo a tutte le comunità ecclesiali e all’intera società civile per promuovere una sottoscrizione, per chiedere alla Conferenza Episcopale Italiana, informando anche il Parlamento della nostra Repubblica, di istituire immediatamente in Italia una “Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa”. Proponiamo un cartello: “Sei venuto a rovinarci?”, da sottoscrivere.

C’è un’immagine del Vangelo di Matteo che mi ritorna spesso in mente: tre uomini avvolti nei loro abiti regali si inginocchiano davanti ad un bambino (cfr. Mt. 1,11). Oggi è questo che dobbiamo fare: genufletterci davanti al bambino abusato che è il Dio che pensiamo di adorare. Ma, continua il testo del vangelo di Matteo, una volta inginocchiati i Magi “per un’altra strada fecero ritorno” (Mt. 1,12). Non basta inginocchiarsi e provare vergogna. È il tempo di cambiare strada. Subito. Ora. La cometa non è più disposta ad aspettarci.