di Giannino Piana   

Ritornano oggi con una certa frequenza comportamenti antisemiti di gruppi di estrema destra, che si ispirano apertamente al nazismo e al fascismo. Quali le ragioni?

Purtroppo è vero e assai preoccupante. Sono molti in tali gruppi in particolare in Germania e in Italia, ma il fenomeno si estende, anche ad altri Paesi europei – si pensi alla Polonia e all’Ungheria – dove governi di destra politica con posizioni dichiaratamente nazionaliste si mostrano indulgenti nei confronti di movimenti estremisti che si ispirano, che hanno direttamente o indirettamente, a tali aberranti ideologie, che hanno insanguinato il “secolo breve”.

Le cause dell’avanzare di questa tendenza sono di diversa entità e natura. Prima fra tutte vi è la crisi della democrazia liberale – si parla oggi di post-democrazia o, secondo il premier polacco, di “democrazia illiberale” – sia per la presenza di poteri forti – quello economico e quello dell’informazione in primis – che condizionano profondamente i processi democratici, ridimensionandoli o alterandone l’identità, sia per il forte ridimensionamento dello Stato sociale, che garantiva a tutti l’accesso ad alcuni diritti fondamentali, e per il conseguente disagio sociale che colpisce le categorie meno privilegiate. Le indagini condotte dopo le ultime elezioni nazionali, che hanno visto la vittoria della destra hanno messo in evidenza che una consistente quota dei voti ricevuti da Fratelli d’Italia è costituita da appartenenti del mondo operaio, che per protesta hanno dato l’adesione a tale partito, non sentendosi rappresentati dalla sinistra, che, a loro parere, non li ha sufficientemente tutelati. A questo si aggiunge la perdita della memoria storica, a causa del ritmo accelerato dei cambiamenti socioculturali e dei forti salti generazionali. Il progresso scientifico-tecnologico ha avuto in questo un peso determinante sul terreno della coscienza soggettiva, con risvolti ambivalenti. L’antisemitismo è parte integrante di questo processo: il rifiuto del riconoscimento della Shoah come tragedia irrepetibile, o almeno il suo annacquamento, rischia di raggiugere aree sempre più ampie con il ritorno del razzismo (nonostante il riconoscimento a livello scientifico dell’inesistenza della razza) e di altre forme di discriminazione nei confronti di immigrati, omosessuali e handicappati.

L’indifferenza diffusa verso i morti nel Mediterraneo – si pensi soltanto alla recente tragedia – o dei Balcani è riconducibile a questo terreno da cui nasce l’antisemitismo?        

In parte ho già risposto. Non si può certo istituire una continuità storica – si tratta di fenomeni diversi con i quali è difficile fare il confronto – ma la matrice ideologica è molto simile: il rifiuto del diverso. A preoccupare in questo momento a tale riguardo, è quella che papa Francesco definisce come “cultura dell’indifferenza”, la mancata percezione della gravità di certi comportamenti disumani per una sorta di abitudine e di assuefazione, che impedisce si mettano in atto le dovute reazioni. L’enorme moltiplicazione delle informazioni, grazie agli strumenti oggi a disposizione, rischia di livellare e omologare tutto e di addormentare le coscienze anche di fronte alle situazioni più tragiche.

Che dire, a tale proposito, delle attuali politiche contro gli immigrati? Delle abbondanti offerte di danaro agli Stati che li trattengono, trattandoli come schiavi, o delle leggi restrittive nei confronti delle Ong, che finiscono per ridurre le possibilità di salvataggio?           

La risposta è implicita nella domanda. Si tratta di operazioni assolutamente disumane, che non possono essere in nessun modo giustificate, e che concorrono ad alimentare e ad accrescere le spinte razziste ricordate. La responsabilità della politica non solo italiana, ma anche (e forse soprattutto) europea è, a tale proposito, fuori discussione, e getta un’ombra pesante sull’immagine di civiltà rivendicata dall’Europa come propria prerogativa. Senza dire che tale posizione è oggi anacronistica e antistorica, se si considera il processo di globalizzazione in corso e, di conseguenza, la costante inarrestabile dilatazione degli spazi fisici e socio-culturali. 
 

Come contrastare questi fenomeni? E ancora: quali le responsabilità della Chiesa cattolica?

La strada principale da percorrere per contrastare tali fenomeni è anzitutto quella di una rinnovata formazione della coscienza, che riconosca la equale dignità di tutti gli uomini e acquisisca dimensioni universalistiche. È un cammino lento e difficile, ma che va urgentemente iniziato da parte delle diverse agenzie educative, in particolare dalla scuola, che insegni a giudicare criticamente quanto avviene e ad assumersi anche il coraggio di andare controcorrente, reagendo a stereotipi di costume indotti dalla propaganda de media che falsificano la realtà. E la Chiesa? A essa non si può non assegnare una particolare responsabilità nel campo dell’educazione cui si è accennato. Ma per esercitare con efficacia questo compito diviene necessaria l’offerta di una testimonianza di fraternità e di accoglienza di tutti, nonché la caduta di ogni barriera restrittiva. L’insegnamento e l’azione di papa Francesco ci sollecitano ogni giorno ad andare in questa direzione.