Dallo “spirito di Dio” allo Spirito Santo

di Jean Louis Ska

“Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio. Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti”. Così recita la terza parte del nostro credo, nella forma decisa dal concilio di Costantinopoli (381) con l’aggiunta occidentale del Filioque, “e dal Figlio”. La nostra domanda, tuttavia, non porta su questa famosa disputa fra chiesa ortodossa e chiesa cattolica romana. Vorremmo tracciare la via che conduce dalle prime apparizioni dello spirito di Dio nell’Antico Testamento fino alle formulazioni del nostro credo, dallo “spirito di Dio che aleggiava sulle acque” (Gn 1,2) allo Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio. In questa pagina possiamo solo accennare alle principali tappe di tale evoluzione.

Fra le diverse funzioni dello spirito di Dio nell’Antico Testamento, ne spicca una molto importante: lo spirito investe alcune persone di una funzione o di una missione nuova. Il primo esempio di tale ruolo dello spirito si trova già alla fine del libro del Deuteronomio, quando Mosè delega a Giosuè la missione di completare la sua opera, vale a dire di far entrare il popolo nella Terra Promessa. Ecco il testo: “Giosuè, figlio di Nun, era pieno dello spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui” (Dt 34,9). L’imposizione delle mani è un gesto di investitura con il quale Mosè affida a Giosuè la sua missione, e lo spirito di saggezza è la qualità necessaria per compiere questa missione. In parole semplici, la missione richiede da Giosuè un cambiamento di personalità. Ormai, gli interessi del popolo dovranno avere il sopravvento sui propri interessi.
Ritroviamo lo spirito più volte nel libro dei Giudici quando Dio si sceglie un salvatore per liberare il suo popolo dai suoi oppressori (Gdc 3,10; 11,29; 13,25; 14,6.19; 15,14). In alcune occasioni, come nel ciclo di Sansone, lo spirito irrompe solo per un’azione isolata e straordinaria: lo spirito di Dio trasforma Sansone in un’altra persona che riesce a compiere azioni eccezionali.
Non per caso appare lo spirito o lo spirito di Dio nella scelta e l’investitura di un sovrano. Sarà il caso di Saul (1 Sam 10,6.10; 11,6; cf. 19,23) poi di Davide (1 Sam 16,13; cf. 16,14). 1 Sam 16,13-14 stabilisce che, dopo l’unzione di Davide lo spirito di Dio abbandona Saul per investire lo stesso Davide. Il re legittimo non è più Saul, è il giovane Davide. Non vi sono altre scene di unzione con apparizione dello spirito di Dio, però l’Antico Testamento contiene altri testi simili, alcuni racconti e alcuni oracoli profetici.

Fra gli oracoli profetici, il più conosciuto è certamente Isaia 11 che parla del re ideale (Is 11,1-5 (traduzione della Sacra Bibbia Nuova Riveduta):

 1 Poi un ramo uscirà dal tronco d’Isai, e un rampollo spunterà dalle sue radici.  2 Lo Spirito del Signore riposerà su di lui: Spirito di saggezza e d’intelligenza, Spirito di consiglio e di forza, Spirito di conoscenza e di timore del Signore. 3 Respirerà come profumo il timore del Signore, non giudicherà dall’apparenza, non darà sentenze stando al sentito dire, 4 ma giudicherà i poveri con giustizia, pronuncerà sentenze eque per gli umili del paese. Colpirà il paese con la verga della sua bocca, e con il soffio delle sue labbra farà morire l’empio. 5 La giustizia sarà la cintura delle sue reni, e la fedeltà la cintura dei suoi fianchi.

L’oracolo isaiano traccia il ritratto del re ideale ed elenca quindi le sue qualità principali. Le qualità sono necessarie al buon governo del paese perché garantiscono giustizia ed equità, e quindi pace e prosperità. È da notare che le qualità del re ideale sono “doni” dello Spirito che “riposa” sul sovrano. In altre parole, tali qualità non sono comuni, sono piuttosto eccezionali. A una funzione non ordinaria si addicono qualità non ordinarie.

Un altro oracolo va nello stesso senso. È anche abbastanza conosciuto perché il testo sarà commentato da Gesù di Nazaret nella sua predica inaugurale e programmatica proprio nella sua città (Is 61,1-2):

1 Lo spirito del Signore, di Dio, è su di me, perché il Signore mi ha unto per recare una buona notizia agli umili; mi ha inviato per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato, per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi, l’apertura del carcere ai prigionieri, 2 per proclamare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio; per consolare tutti quelli che sono afflitti […].

Ritroviamo insieme due temi presenti prima a proposito di Saul e di Davide: l’unzione e lo Spirito divino. Nel caso di Isaia 61 possiamo certamente pensare a una figura regale senza però avere una certezza assoluta. L’oracolo descrive una missione precisa con una serie di compiti da espletare. Lo spirito divino è lo strumento che abilita a questi compiti.

Due racconti descrivono il dono dello spirito in contesti simili a quello dell’unzione regale. Il primo si trova nel libro dei Numeri nel contesto di una discussione fra Dio e Mosè sull’incarico di quest’ultimo (Nm 11,24-30). Mosè si lagna perché il fardello è troppo pesante e Dio gli propone una soluzione che oggi si chiama principio di sussidiarietà, vale a dire la condivisione delle responsabilità con altri. Perciò Dio prende parte dello spirito che “stava” su Mosè e lo distribuisce a un gruppo di settanta “anziani”. Assistiamo alla nascita di una istituzione conosciuta nell’antico Israele, il gruppo di settanta anziani che hanno un ruolo importante nel governo e l’amministrazione del popolo d’Israele dopo la scomparsa della monarchia. I settanta anziani facevano parte del Sinedrio ben conosciuto nel Nuovo Testamento. Unica differenza importante, lo spirito non è esattamente lo spirito di Dio, bensì lo spirito che “sta su di Mosè”. Questo spirito, tuttavia, non può essere uno spirito che non venga da Dio. Mosè, in effetti, è caratterizzato come “amministratore fedele in tutta la casa [di Dio]” (Nm 12,7).

L’altro testo importante è spesso intitolato “ascensione di Elia” (2Re 2,1-18). In realtà, l’argomento del racconto non è tanto l’ascensione di Elia in cielo bensì la successione di Elia, il passaggio del testimone fra Elia e il suo successore Eliseo. Elia ed Eliseo camminano insieme, però Eliseo sa che si tratta dell’ultimo viaggio con il suo maestro. A un certo punto, Elia rivela il suo segreto al suo discepolo e gli chiede se desidera ricevere qualche cosa in eredità. Eliseo risponde: una doppia porzione del tuo spirito. Ora, la doppia porzione dell’eredità è quella che spetta al primogenito (Dt 21,17). Per ricevere questo spirito, Eliseo deve però assistere alla dipartita definitiva di Elia. Ed è quello che avviene. Il resto del racconto dimostra che Eliseo ha davvero ricevuto lo spirito di Elia, così come si straccia le vesti e riveste il mantello di Elia che gli è stato regalato all’ultimo momento.

Abbiamo ora alcuni elementi essenziali per affrontare il Nuovo Testamento. Abbiamo visto che lo spirito investe alcune persone di qualità particolari indispensabili al compimento di missioni precise al servizio del popolo d’Israele. Si tratta soprattutto di sovrani e, in alcuni casi, di profeti. Lo stesso vale per gli anziani che saranno incaricati di dirigere il popolo d’Israele in aiuto a Mosè.

Due momenti del Nuovo Testamento si spiegano meglio alla luce di quanto abbiamo scoperto nell’Antico Testamento. Il primo è l’episodio ben noto del battesimo di Gesù di Nazaret nel Giordano. I quattro vangeli parlano della discesa dello Spirito Santo su Gesù sotto la forma di una colomba, persino il vangelo di Giovanni che non descrive il battesimo nel Giordano (Mt 3,16; Mc 1,10; Lc 3,23; cf. Gv 1,32). Qual è il significato della scena? Si tratta, con ogni probabilità, di una scena di investitura, come nell’Antico Testamento. La voce celeste che si fa sentire in quel momento in Matteo (3,17): “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto” e in Marco (1,11): “Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto” conferma questa idea. In effetti, la voce celeste cita Is 42,1, però sostituisce la parola greca παῖς, “figlio, bambino, servitore”, con υἱός, “figlio”. La seconda parola è più esplicita e designa Gesù come il Messia, “figlio di Dio”, titolo del re in Israele. La scena presenta quindi Gesù di Nazaret come il Messia che riceve la sua missione ed è confermato dallo Spirito in questa missione.
La seconda scena, molto conosciuta anch’essa, è la scena di Pentecoste. Vi sono diversi elementi comuni ai primi due capitoli degli Atti degli Apostoli e la cosiddetta scena dell’ascensione di Elia. In entrambi i casi, si tratta di “passare il testimone”. Ecco gli elementi principali del parallelismo: (1) Elia e Gesù sono “portati via” verso il cielo (2Re 2,1; Lc 9,53; Ac 1,2.9-11); (2) Eliseo vede Elia quando è “portato via” (2Re 2,10-12 [v. 12: “Eliseo lo vide”]) e i discepoli vedono Gesù salire in cielo (Ac 1,9: “mentre essi guardavano, fu elevato”); (3) Eliseo riceve in eredità lo spirito di Elia (2Re 2,15: “Quando i discepoli dei profeti che stavano a Gerico, di fronte al Giordano, videro Eliseo, dissero: «Lo spirito d'Elia si è posato sopra Eliseo»”) e i discepoli che hanno assistito all’ascensione ricevono lo spirito di Gesù (Ac 2,1-13).

Tutto ciò ci fa dire che in entrambi i casi assistiamo “al passaggio di testimone”. Così come Eliseo che riceve lo spirito di Elia continuerà la sua missione come “figlio primogenito”, come figlio spirituale di Elia, nello stesso modo i discepoli radunati nel cenacolo continueranno la missione di Gesù di Nazaret sulle strade del nostro mondo, a partire da Gerusalemme. La Pentecoste, in altre parole, ha molti significati. Uno di loro è quello di una investitura profetica. Lo spirito trasforma i discepoli in servitori e portavoce del vangelo. Lo spirito che investe i discepoli è quello che invochiamo nel credo, lo spirito mandato dal Padre, lo spirito del Figlio che ha mandato i suoi discepoli e che “investe” ogni fedele che lo confessa e lo trasforma in un altro portavoce “profetico” del vangelo.