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a cura di Gianni Manziega, Lucia Scrivanti
Forse si tratta di percezione errata della realtà, ma a noi sembra che la violenza nel mondo stia diffondendosi sempre di più, sfilacciando la rete dei rapporti personali e la serena convivenza tra interi popoli. Ci sconvolgono le immagini di alcune delle oltre 50 guerre guerreggiate oggi nel mondo - “la terza guerra mondiale a pezzi”, aveva sentenziato papa Francesco nel 2014 durante la visita al cimitero militare di Redipuglia - che seminano quotidianamente morti, persino bambini e donne e anziani e civili inermi, distruzioni di intere città, sconvolgimento degli ecosistemi...; ci preoccupa inoltre il moltiplicarsi di diverse forme di violenza nelle relazioni personali.
Nell'attuale scenario mondiale, che appare pesantemente segnato dalle guerre e dall'ingiustizia, e al diffondersi di un clima di rabbia e di rancori repressi, al male si contrappone il male, alla violenza si contrappone violenza. È messa tragicamente in crisi la convivenza pacifica nell’intero pianeta. Come è possibile ricostruire sulle macerie e ricucire l'umanità lacerata? È necessario trovare la strada della possibile riconciliazione. Ma ci può essere riconciliazione senza perdono?
Perdonare significa superare sentimenti di ritorsione, del rancore, della vendetta nei confronti di chi ha inferto una ferita, da parte di chi è stato offeso. Si tratta di un traguardo non semplice da raggiungere, impossibile senza una maturazione interiore che prende l’avvio nel riconoscimento, in chi offende, della stessa condizione umana di fragilità dell’offeso, del bisogno di essere perdonato. Il percorso del perdonare è quindi condizione per restare umani, per la nostra stessa riconciliazione, per la nostra pace, per perdonare a noi stessi.
Il racconto evangelico della donna adultera ci parla del perdono come necessario passo per ricostruire la vita di una persona e quella della stessa comunità umana: “Gli scribi e i farisei condussero a Gesù una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: 'Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?' [...] Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: 'Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei'. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: 'Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?'. Ed ella rispose: 'Nessuno, Signore'. E Gesù disse: 'Neanche io ti condanno, va' e d'ora in poi non peccare più'" (Gv 8,1-11).
Il perdono dunque rappresenta il primo passo verso la riconciliazione, "... è l’unica reazione che non si limita a reagire, ma che agisce nuovamente e inaspettatamente, non condizionata da un atto che l’ha provocata, e che quindi libera dalle sue conseguenze sia colui che perdona sia colui che è perdonato” (Hannah Arendt, Vita activa, la condizione umana). Senza perdono non può esserci pace e solo partendo dal perdono si possono inventare strade di inedita convivenza. La vendetta, infatti, tiene ancorati al passato, il perdono apre al futuro, anche se non si può, non si deve cancellare/dimenticare il passato. A livello personale il perdono consente di mantenere l’equilibrio psichico, la pace interiore, mentre la sete di vendetta impedisce di sottrarsi alla pesantezza del passato. Anche a livello planetario solo il riconoscimento delle verità negate/calpestate e delle leggi disattese, l’assunzione della conseguente responsabilità e la comprensione del dolore e della sofferenza arrecate - qualche esempio lo leggiamo negli articoli - possono aprire strade di pace tra i popoli reduci da disastrose guerre.
Il perdono è un tema centrale in molte religioni, considerato un pilastro fondamentale della fede. Purtroppo spesso le religioni sono strumentalizzate per giustificare la violenza, mentre potrebbero/dovrebbero contribuire alla cultura del perdono. Le cosiddette “religioni del Libro”, se pure con accentua- zioni diverse, sono interessate al perdono, come condizione essenziale per la relazione tra viventi e tra gli umani e il divino. Il punto di partenza è la consapevolezza che Dio perdona le debolezze e gli errori umani. Credere in Dio significa credere nella misericordia e nella pace.
Per la tradizione ebraica il perdono divino riguarda solo i peccati che l’uomo compie nei Suoi confronti, mentre relativamente alle offese commesse contro il prossimo è possibile individuare tre elementi: si perdona a chi si è pentito del male commesso, non tutte le colpe possono essere perdonate (alcuni crimini sono talmente gravi che superano il limite della “perdonabilità”), non è possibile perdonare a nome di qualcun altro.
Nel Corano ci sono dei passaggi che legittimano la condanna e la pena contro diverse forme di ingiustizia, ma viene ripetutamente affermato che nessuno raggiunge il bene senza la grazia divina, Dio purifica e perdona le colpe, chi però vuole essere perdonato da Dio perdoni il suo prossimo (Il Corano 41: 34 e 35).
Nel cristianesimo l’invito al perdono è radicale e incondizionato. A Pietro che chiede a Gesù se deve perdonare sette volte, cioè sempre, colui che l’ha offeso, il Maestro risponde: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Mt 18,21-22), cioè un “sempre” all’ennesima potenza. Basti inoltre pensare alla parabola del padre misericordioso (Lc 15,11-32) come a quella del pastore che cerca la pecora perduta (Lc 15,4-7)... Gesù ripeterà ai suoi discepoli: “Quello che ho fatto io fatelo anche voi” (Gv 13,15).
Rimane la necessità di coniugare il perdono con la giustizia. Non sono due termini contrapposti: il male va riconosciuto e combattuto e sanzionato, in nome della giustizia, ma colui che lo commette deve essere aiutato a ricostruire la sua vita nel rispetto dell'altro/a, in nome del perdono.