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a cura di Carlo Bolpin, Paola Cavallari, Chiara Puppini
Abbiamo deciso di trattare “la prostituzione” per gli aspetti etici e politici messi in discussione dall’industria del sesso, incrementatasi negli ultimi anni con tecnologie online. Si è così accentuata una cultura che lede la dignità degli esseri umani, ponendo in atto una prassi nociva per le relazioni, con pericoli nella formazione dei giovani.
Il numero affronta pertanto un argomento non solo complesso, ma per lo più posto sotto un pudico silenzio, segno di opportunistica indifferenza e rimozione. Per varie ragioni:
1. è tema tabù; lambisce le aree della vita intima e della sfera sessuale; per cui il bon ton, il pudore e la riservatezza preferiscono evitarlo;
2. è tema in cui si può scivolare in derive da evitare: riprovazione moralistica, visioni oscurantiste, o riduzione a questioni di decenza e pubblico decoro;
3. è tema assai controverso e divisivo, in più aree.
Ci si potrebbe augurare che tali prospettive divergenti costituiscano una ricchezza: per ora sembra arduo, ma non perdiamo la speranza.
“Le prostitute rappresentano ancora oggi la rimozione di una sessualità sana, quindi, fanno questo lavoro non per scelta, mai. Manca un discorso serio, profondo, sull’amore, la sessualità come potenzialità vitale di incontro, di crescita della personalità verso sé stessi e verso l’altro nel provare a vivere in una pienezza molto spesso sconosciuta” (Neri).
Ma anche: “Durante il lavoro sessuale, il corpo non è un oggetto alla mercé del compratore. Sottolineiamo l’importanza di distinguere l’uso del corpo dalla vendita del proprio corpo” (Covre).
Crediamo che la materia debba affiorare nell’opinione pubblica, come lo è in altri Paesi europei (Maiorino, Baldini, Lupi, Agatische). Non semplicemente perché il sistema prostituente è un’industria mondiale fra le più fiorenti, ma soprattutto perché la domanda di sesso a pagamento è una questione che si inscrive nei fondamenti dell’etica e della politica. “Credo sia necessario sviluppare un confronto politico e culturale su ciò che la prostituzione e la pornografia raccontano delle relazioni tra i sessi e delle rappresentazioni della sessualità” (Ciccone).
Lo sguardo da cui non vogliamo prescindere, in ogni caso, trova fondamento soprattutto (ma non solo) nella sentenza della Corte Costituzionale n. 141 del 2019 (Villa), che, decidendo sulla conformità ai principi costituzionali delle norme penali che puniscono il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione anche volontaria e consapevole ha affermato in modo inequivocabile che “non è possibile ritenere che la prostituzione volontaria partecipi della natura di diritto inviolabile” e ha confermato la scelta del legislatore che “ravvisa nella prostituzione, anche volontaria, una attività che degrada e svilisce l’individuo, in quanto riduce la sfera più intima della corporeità a livello di merce a disposizione del cliente”. Tali parole richiamano la centralità per la nostra convivenza civile della dignità della persona “intesa in una accezione oggettiva, ossia come principio che si impone a prescindere dalla volontà e dalle convinzioni del singolo individuo”. Di conseguenza, secondo la sentenza, la prostituzione, anche se libera e consapevole, non può essere considerata come una qualsiasi altra attività lavorativa autonoma, disciplinabile con un contratto secondo i canoni del nostro ordinamento. Non può essere considerata un lavoro come un altro, per usare lo slogan degli ambienti favorevoli a un riconoscimento dei diritti dei e delle sex worker. La sentenza ha quindi dichiarato la legittimità della scelta abolizionista del legislatore italiano.
Abbiamo abbracciato un approccio non sociologico, non ideologico ma pluralista; è stata riservata attenzione a pareri molteplici, anche discordanti, perseguendo un’ottica che non riduce la complessità. È una prospettiva estranea a giudizi etici sulle persone, che comunque non possono essere fraintesi: convincimenti valoriali irrinunciabili sono altra cosa da preconcetti ideologici. Essi si sostanziano in quell’etica sociale e civile che caratterizza il nostro umanesimo, la cifra con cui comprendere le relazioni nella polis, luogo simbolico e politico al cui fondamento sta il bene di donne, uomini ed esseri viventi.
Sottolineiamo che nel nostro approccio è stata determinante l’ottica di genere, un punto di vista che non ignora l’universo simbolico e i vissuti della sessualità, spesso trascurati: essi sono invece costitutivi delle soggettività, delle sue costruzioni storiche, delle complesse espressioni, delle strategie di ricerca di piacere e di affermazione di sé, ma anche delle capacità di farsi debole, disposto/a all’accoglienza dell’alterità, a tendere alla reciprocità.
Per le tematiche tipiche di Esodo in relazione a fedi e religioni, rinviamo ad altri numeri, che hanno affrontato temi intrecciati a questo e lo faremo ancora. Gli articoli danno conto di presupposti teorico-politici (Izzo), del quadro storico (Gazzetta), di quello legislativo nazionale ed europeo (Villa, Maiorino), delle diversità tra modello svedese e quello tedesco (Izzo, Maiorino), delle differenze di impostazione operativa nell’associazionismo (Da Pra, Baldini), delle testimonianze di chi è uscita da quel mondo (Aghatise, Lupi) delle implicanze legate allo stigma subito e alla vergogna (Cavallari).
Punti di contatto tra posizioni divergenti sono stati evidenziati: attuare concrete vie di uscita come accoglienza delle donne che vogliono uscire, interventi sanitari, lavoro, integrazione, istruzione, terapie per elaborare il disturbo dal frequentissimo stress post-traumatico.