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1. Questo numero di Esodo, dedicato al rapporto religione-politica, nasce dall’indignazione provata da molti per l’uso della fede cristiana, dei suoi simboli, dello stesso nome di Dio, da parte di alcuni partiti nelle competizioni elettorali, e non solo, a sostegno di un proprio progetto politico, i cui contenuti sembrano contrastare con i valori fondanti del messaggio cristiano per sua natura universalistico. Questa strumentalizzazione viene compiuta da una molteplicità di soggetti politici nel mondo attuale, più che altro di orientamento conservatore e autoritario, e non solo con riferimento al cristianesimo; si usa il fondamento religioso come uno degli elementi identitari di una comunità sociale (accanto ad altri, come una certa idea di nazione e famiglia), con tendenziale esclusione o discriminazione di chi non si riconosce in essi. In Europa manifestazioni di esplicito uso della religione a fini politici sono presenti, oltre che in Italia, in paesi come l’Ungheria e la Polonia, tra i più noti. Tale prassi si evidenzia in altre aree del mondo, coinvolgendo ulteriori religioni, oltre al cristianesimo nelle sue diverse manifestazioni, come l’islam, l’ebraismo, l’induismo, ecc. L’uso politico della religione ali- menta spesso nazionalismo e sovranismo, contrastando sul piano internazionale il multilateralismo e i faticosi tentativi di costruire organismi sovranazionali capaci di prevenire e governare i conflitti e, sul piano interno, il pieno riconoscimento dei diritti soggettivi a chi non si riconosce nei prevalenti modelli morali di comportamento derivanti dalla religione.
Se si fa attenzione alle vicende storiche ci si rende conto che religione e politica sono state per secoli strettamente intrecciate, e che la fede religiosa si è prestata o è stata usata a sostegno di progetti politici di potere. Diverse sono state le modalità del rapporto che le religioni hanno intrattenuto con il potere politico: di dominio, di subalternità, di accordo nella reciproca convenienza. Solo negli ultimi due secoli si è affermata l’idea della separazione tra politica e religione e, con essa, il principio di laicità delle istituzioni e dello Stato. Tuttavia, anche in un regime di separazione, l’influenza della religione in ambito politico è rimasta e permane. Non si tratta di un fatto negativo, perché la religione e la fede costituiscono esperienze culturali e sociali importanti che non possono rimanere estranee al modo con cui una società si organizza e vive, purché non diventino fattore di limitazione della libertà e dei diritti soggettivi, e non generino discriminazione. Alla fine, oltre l’indignazione iniziale per l’esibizione strumentale di riferimenti religiosi, abbiamo, come redazione, avvertito l’esigenza di una riflessione più meditata sul tema, per la quale abbiamo chiesto la collaborazione di studiosi, limitandoci alle diverse espressioni del cristianesimo e con riferimento all’ebraismo.
2. Prima di procedere oltre ci si deve intendere sul significato del termine politica. Il termine ha un significato molto ampio, nel senso che si può considerare politica tutto ciò che ha a che fare con il governo della società, dalla discussione pubblica su di esso alla competizione per far prevalere un modello, una visione piuttosto che un’altra; infine al modo con cui si fanno funzionare le istituzioni che si sono create per disciplinare la vita sociale, in altre parole l’arte di governare, la teoria e la pratica che hanno per oggetto l’amministrazione e organizzazione dello Stato e della vita pubblica. A ben guardare politica riguarda il tema del potere, del suo esercizio, del conflitto per esso.
Altra specificazione necessaria è cosa si intenda per fede e per religione. Ai fini della nostra riflessione intendiamo per religione un sistema di dottrine, istituzioni, culti e regole. Con il termine fede ci si riferisce alla risposta personale e della comunità a un Dio che chiama, alla fiducia e speranza in una salvezza finale. Ma c’è di più. Nel distinguere fede da religione si vuole, oggi, evidenziare l’adesione profonda delle persone, singoli e comunità, al- l’annuncio religioso colto nella sua essenzialità. Nella convinzione che una vera fede, essendo continua ricerca della verità mai pienamente coglibile, non pretende che l’unico vero Dio sia il suo, mentre quello di un’altra fede è falso. Resta comunque che religione e fede sono storicamente legate, la fede si esprime attraverso modalità e forme date dalla religione, la quale svolge la funzione di accompagnamento alla conoscenza del “messaggio” oggetto della fede a cui si riferisce. Vivere la fede è anche esperienza di comunità, di condivisione con gli altri, non è quindi riducibile alla sola esperienza soggettiva. Ci si può chiedere, in particolare con specifico riferimento al cristiane- simo, se la prevalenza dell’aspetto istituzionale, rispetto all’adesione verso l’essenza del messaggio di fede, non abbia determinato l’esercizio di una funzione, per la religione, di mediazione e di supporto alla politica per la gestione del potere, come è avvenuto nel corso dei secoli. E ancora se sia possibile pensare, sempre con riferimento al cristianesimo, a una necessaria riduzione dell’istituzione .
3. I testi che seguono si riferiscono sia al rapporto tra religione e politica, sia al rapporto tra espressioni di fede religiosa e politica. Nel primo senso prevalgono i rapporti tra istituzioni, organizzazioni e culture religiose e istituzioni politiche, nel secondo viene in rilievo il rapporto tra le persone di fede religiosa, singoli e comunità, e l’impegno politico.
Premessa una sintetica ricostruzione storica di questo rapporto, oggetto dell’intervista con Carlo Galli, il saggio di Monica Simeoni è dedicato all’uso della religione cattolica nei contesti politici conservatori presenti in Italia e in Europa; l’intervento di Paolo Naso è invece dedicato agli Stati Uniti, con riferimento particolare al mondo protestante. La conversazione con Luigi Sandri riguarda l’uso strumentale della religione a fini di potere nel mondo ortodosso, e delle divisioni che ne sono seguite, in un contesto segnato dalla guerra in corso tra Russia e Ucraina. Dell’uso strumentale della religione da parte della politica in Israele, ma anche del tentativo dei settori fondamentalisti di piegare la politica alla religione, si occupa Stefano Levi Della Torre, anche in questo caso in un contesto segnato dalla tragedia del conflitto presente in Palestina.
Oggi la discussione spesso polemica sull’uso della religione nel conflitto politico riguarda soprattutto, se non solo, il suo uso identitario/autoritario da parte della destra politica, ma va evidenziato che l’ispirazione religiosa, specie in ambito cristiano, può essere impulso alla contestazione delle disuguaglianze, sostegno alle istanze di giustizia e alla domanda di emancipazione popolare, come è emerso anche nella recente “Settimana sociale dei cattolici” svoltasi a Trieste nel luglio scorso. In alcuni movimenti dell’America del sud negli scorsi decenni la fede cristiana ha ispirato il pensiero della teologia della liberazione, la cui rilevanza politica non si può negare e che ha messo capo a significative pratiche politiche. Ci è parso utile e interessante ricordare quell’esperienza, oggetto dello scritto di Anselmo Palini.
Nel tempo che viviamo nell’area dell’occidente la separazione tra religione e politica è un’acquisizione consolidata, secondo modelli diversi, che vanno dall’indifferenza del modello francese a quello del riconoscimento del valore delle religioni secondo il modello costituzionale italiano. Su questo tema è il contributo di Stefano Foglia sulla religione nelle Costituzioni.
Completano il fascicolo due saggi che vanno oltre gli aspetti attuali del rapporto tra religione e politica. Uno è quello, di Fulvio Ferrario, sul pensiero di Bönhoeffer, l’altro, di Cristina Simonelli, sulle parole di Gesù date a Cesare..., sul suo significato in quel tempo storico e nel contesto della disputa con i suoi avversari e sull’essere oggi un invito al discernimento, di prospettiva inquieta, in quanto volta a scrutare le questioni in campo, e a valutare le posizioni da assumere.
4. Dalla separazione della religione dalla politica non discende un divieto alle organizzazioni religiose di partecipare alla discussione politica, di pro- porre progetti e iniziative che abbiano ispirazione nei valori della fede religiosa. È del tutto legittimo che le culture religiose nelle loro forme istituzionali, e non solo, ispirino un’azione politica, purché essa avvenga nei limiti dei principi costituzionali e senza pretesa di obbligare lo Stato ad accettare come leggi di tutti valori religiosi non negoziabili. Se questo non è stato possibile nel nostro Paese nel corso degli anni e se è emersa la pretesa delle istituzioni cattoliche di conformare la legislazione ai valori cattolici, ciò è dovuto, anche, al riconoscimento di una condizione di privilegio per la religione cattolica, in forza del principio concordatario accolto in Costituzione, che si è dimostrato non favorire la piena uguaglianza dei cittadini e nemmeno la credibilità dello stesso messaggio cristiano. Nel valutare i pro- getti politici dei partiti che richiamano valori religiosi, occorre tenere distinti il punto di vista che muove dal principio di laicità, proprio degli ordinamenti democratici, inteso nel senso che lo Stato è neutrale in tema di religione, e non discrimina le persone in base alla professione di fede religiosa, da quello che muove dagli elementi valoriali qualificanti il messaggio religioso.
Dal primo punto di vista, quei progetti devono essere valutati per la loro conformità o meno ai principi costituzionali ed eventualmente criticati per il merito. Ma, nel rispetto di questi principi, non vi sono obiezioni sul richiamo anche esplicito a valori religiosi.
Diverse considerazioni vanno fatte se nella valutazione dell’azione politica, che fa riferimento al messaggio religioso: si pone la questione della coerenza con i valori essenziali del messaggio, piuttosto che alle forme culturali e alle condotte che ne derivano. Il problema di questa coerenza sta dunque soprattutto nelle dinamiche elaborative presenti nelle diverse culture religiose. Il confronto sul punto non è semplice, perché nella realtà non vi è uniformità di interpretazione dei vari messaggi religiosi e quindi la valutazione della coerenza dipende, pur entro certi limiti, dall’interpretazione assegnata ai testi che sostengono i messaggi. Dalla fede cristiana, anche vissuta in modo radicale o ritenuto tale, non discende comunque un’unica opzione politica; anche se non qualsiasi opzione politica appare coerente con il messaggio cristiano. Del resto, ciò è dimostrato dal pluralismo di opzioni politiche tra i credenti, almeno nel mondo occidentale. In questo contesto pluralista spetta in primo luogo ai credenti sensibili ai valori essenziali della fede professata eventualmente criticare progetti e azioni politiche con essi contrastanti.
5. La fede, vista come adesione autentica al messaggio cristiano nella sua essenzialità, può motivare un pensiero e una pratica “politici”, in forme diverse, dalla militanza in una formazione politica all’attiva partecipazione in movimenti che operano su temi di rilievo sociale anche senza un’esplicita dimensione politica. I due aspetti non si escludono, ma il secondo sembra più attuale, almeno in Italia, facendo collateralmente registrare da molti impe- gnati nell’esperienza di fede un allontanamento dalle forme tradizionali della politica, sperimentando invece pratiche di impegno di “cittadinanza attiva” nel sociale, di implicita, anche se non dichiarata, valenza politica. Di questo aspetto si occupa il contributo di Italo De Sandre. Appare legittima un’inizia- tiva politica progressista (nelle diverse declinazioni storiche che questo ter- mine può assumere, sinteticamente riferibili ai valori della libertà e del- l’uguaglianza, e nel tempo che viviamo dell’ambientalismo), che tragga ispira- zione dalla fede cristiana, colta nella sua essenza, oltre il dato istituzionale. Lo era per il passato, pensiamo a un movimento come Cristiani per il socialismo, lo è per il presente e per il futuro. Con una conclusiva precisazione importante, che chi opera in politica animato da quell’ispirazione non si appelli alla propria fede come a un assoluto, a una pretesa di verità non revocabile in dubbio.